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Verificai che la prima crisi in genere avveniva in occasione di un "test da carico" particolare,<br />
come ad esempio la partenza per il servizio militare, una delusione amorosa, un pesante<br />
insuccesso scolastico, una relazione di gruppo abbastanza conflittuale, talora una prima<br />
esperienza di "sostanze psicoattive". In queste situazioni era come se si realizzasse l'esperienza di<br />
un nemico ("hostis") che invadesse, penetrasse come un proiettile e facesse scoppiare.<br />
Frantumandosi era come se il soggetto percepisse tutta una serie di eventi negativi che si stavano<br />
organizzando contro, minacciando e distruggendo le parti del soggetto sicure, autonome, non<br />
dipendenti dall'esterno.<br />
Osservai che gli episodi successivi erano riattivabili da situazioni da carico di minor peso, come<br />
se già vi fosse una strada fatta.<br />
La terapia<br />
Da subito mi resi conto che non solo era improponibile la reclusione in Ospedale o in altre<br />
strutture chiuse, ma era scarsa l'indicazione e l'efficacia degli ausili terapeutici classici, sia di tipo<br />
psicofarmacologico che psicoterapeutico.<br />
Sapete che circa una quarantina di anni fa nella terapia psichiatrica è stata introdotta una<br />
cosa nuovissima, che è lo psicofarmaco. Forse qualcuno di voi l'avrà usato, perché adesso i medici<br />
ne fanno una prescrizione facile, come se fossero acqua fresca. Gli psico-farmaci, o farmaco per la<br />
psiché-anima, specie quelli cosiddetti "maggiori" o neurolettici, iniettati nell'individuo sono come<br />
una "camicia di forza chimica" e sono ormai largamente utilizzati con i cosiddetti "malati di<br />
mente" e hanno sostituito la vecchia camicia di forza e gli altri mezzi di contenzione. Procurano<br />
una tale sedazione e un tale rallentamento ideatorio e motorio che viene a mancare proprio la<br />
possibilità "fisica" di delirare. Per questi "vantaggi" c'è stato in questi anni un grosso uso per i<br />
cosiddetti "malati di mente" di "neurolettici retard" o di lunga durata, il cui effetto dura alcuni<br />
giorni dopo una unica somministrazione. Pesanti, però, sono anche gli "effetti collaterali".<br />
Questa osservazione fu eclatante proprio in una delle prime mie esperienze di questi nuovi<br />
disagi. Mi interpellarono per un giovane che era andato a fare il servizio militare, e dopo qualche<br />
giorno aveva cominciato a presentare un delirio persecutorio. Chiamarono i genitori, brave<br />
persone, che lo andarono a prendere in caserma. Quando ritornarono a casa loro, lo portarono<br />
subito al Centro di Igiene Mentale, dove la prima cosa che gli fecero fu una iniezione di<br />
neurolettico retard, uno psicofarmaco potente che rallenta tutta l'attività psichica e, quindi, anche<br />
il delirio. Quando andai a casa del ragazzo, verificai l'esistenza degli effetti collaterali, cosiddetti<br />
"extrapiramidali": aveva una mimica facciale fissa, la impossibilità ad articolare parole, la saliva<br />
che gocciolava da una bocca semiaperta, camminava a piccoli passi con le braccia ferme e<br />
penzoloni. Mi resi conto che i familiari erano più allarmati per queste cose che per quello che era<br />
stato loro riferito in caserma; anzi pensavano che fossero questi i segni della malattia. Ci volle<br />
molto tempo per far capire ai familiari che il problema era un altro, che loro in quel momento<br />
stavano osservando solo gli effetti collaterali dell'iniezione fatta. Da una interazione sul campo e<br />
dalla conoscenza che ne avevo prima, mi resi conto che non si trattava di una classica psicosi<br />
giovanile e percepii che esistevano possibilità alternative di intervento. Questo ragazzo superò<br />
bene questo episodio e attualmente lavora ed è sposato con prole, con gli alti e i bassi che esistono<br />
in tutti noi.<br />
Anche in altre situazioni simili, mi resi conto che potevano migliorare attraverso una relazione<br />
un po’ più ricca di una varietà di livelli, specie se svolta all'interno della famiglia e all'interno di<br />
microgruppi o microrealtà ispirate a vera solidarietà e disponibilità, come la parrocchia o altri<br />
contesti ben disposti. Qualcosa del genere avevo già sperimentato in alcune situazioni psicotiche,<br />
trattate in precedenza nella sezione di psichiatria; ma in questi casi mi sembrava che avessero<br />
una rilevanza e preponderanza fondamentale.<br />
In conclusione, constatai che questi nuovi disagi avevano una caratterizzazione<br />
epidemiologica, una peculiarità sintomatologica, una risposta agli interventi "terapeutici", un<br />
andamento prognostico, molto diversi da quelli che avevo appreso studiando queste cose<br />
all'Università e praticandole nella mia pregressa operatività clinica. Decisi, perciò, di chiamarle<br />
"sindromi psicotiche".