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di Stefano Di Marino - Words from Italy

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AppuntAmento A SAmAringA<br />

Hakermann ai giapponesi, se era questo che volevano.<br />

Il mercenario non si pronunciava, in ogni caso sapeva che Kono non si<br />

sarebbe accontentato. Lo volessero o no erano tutti sulla stessa barca. Tanto<br />

valeva sapere finalmente il motivo del tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Hakermann.<br />

Questi dovette intuire il pensiero <strong>di</strong> Julius, perché lo fissò <strong>di</strong>ritto negli occhi<br />

prima <strong>di</strong> cominciare il suo <strong>di</strong>scorso.<br />

— Il mio vero nome è Arka<strong>di</strong> Stefamovic Grenkov — cominciò con il tono <strong>di</strong><br />

una confessione. — Anche se per molti anni mi sono fatto passare per olandese<br />

o tedesco, la mia patria è la Russia. Sono nato a Kiev settant’anni fa e ho sempre<br />

servito il mio paese. Sin dal giorno in cui entrai alla scuola <strong>di</strong> spionaggio <strong>di</strong><br />

Odessa in Crimea, giurai che la causa della rivoluzione sarebbe stata per me<br />

una ban<strong>di</strong>era.<br />

— Un russo fottuto! — esclamò A.J. stridulo. Hakermann gli restituì uno<br />

sguardo <strong>di</strong> ghiaccio che lo costrinse ad abbassare il capo.<br />

— Un agente del NKVD. Nel 1941 operavo sulla Costa Azzurra nei pressi <strong>di</strong><br />

un paesino chiamato Royal les Eaux. Lavoravo in incognito per smascherare<br />

una rete clandestina dell’Abwher, il servizio <strong>di</strong> spionaggio <strong>di</strong> Hitler, a quell’epoca<br />

impegnato in una complessa operazione che aveva collegamenti in Turchia e<br />

in Estremo Oriente. Il Giappone era appena entrato in guerra, ma già da anni<br />

aveva agganci con Germania e Italia. In particolare c’era un piano denominato...<br />

me lo ricordo ancora: Walfrid. Walfrid prevedeva uno scambio <strong>di</strong> agenti tra Tokyo<br />

e Berlino. Io ero alle calcagna <strong>di</strong> un agente dell’Abwher conosciuto con il nome<br />

<strong>di</strong> Klaus Hakermann. Un in<strong>di</strong>viduo eccezionalmente abile, che per anni aveva<br />

operato in Europa Centrale e che, ormai bruciato agli occhi dei servizi segreti<br />

britannici, Canaris aveva deciso <strong>di</strong> trasferire in Oriente. Un po’ per continuare la<br />

lotta su un terreno ancora vergine, un po’ per controllare gli alleati nipponici <strong>di</strong><br />

cui Berlino non si fidava ciecamente. Raggiunsi Hakermann in un alberghetto<br />

sulla riviera, due ore prima che si imbarcasse su un cargo egiziano che<br />

faceva rotta per l’Oriente. Sapevo per certo che i giapponesi non conoscevano<br />

Hakermann <strong>di</strong> persona. Con un po’ <strong>di</strong> fortuna potevo mettere a segno un colpo<br />

fantastico, infiltrarmi in un’operazione complessa che mi avrebbe consentito,<br />

oltre all’eliminazione <strong>di</strong> un pericoloso agente nemico, <strong>di</strong> portarmi nel cuore<br />

dell’apparato nipponico, che era quello che più preoccupava Stalin a quell’epoca.<br />

Infatti urgeva la risposta a un quesito che i generali russi si ponevano con<br />

ossessionante frequenza: l’armata giapponese avrebbe attaccato la Russia<br />

dalla Manciuria oppure avrebbe concentrato i suoi sforzi bellici nel Pacifico? Era<br />

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