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di Stefano Di Marino - Words from Italy

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un’altra <strong>di</strong>mensione, ma qui tra la giungla e il mare è <strong>di</strong>verso. È la natura<br />

stessa che ci parla <strong>di</strong> sé, attraverso segni che abbiamo <strong>di</strong>fficoltà a<br />

comprendere. La mia risposta è sì: credo che esista un mondo oscuro che sta<br />

tra la realtà e la superstizione e che è dato a pochi <strong>di</strong> conoscere. Qui si ha la<br />

possibilità <strong>di</strong> percepirlo.<br />

Julius guardò quegli occhi gran<strong>di</strong> e ricchi d’intensità.<br />

Jaga stava <strong>di</strong>mostrando una profon<strong>di</strong>tà psicologica che contrastava con il<br />

suo aspetto e le circostanze del loro incontro.<br />

Quale era la sua storia? Quali erano la vicenda e il segreto <strong>di</strong> quell’isola e<br />

della comunità con cui lui stava per entrare in contatto? Mentre il motore del<br />

Malacca Queen riduceva i giri e si avvicinava tossicchiando al molo, Julius<br />

ebbe la sensazione che qualcosa sarebbe cambiato in lui prima <strong>di</strong> lasciare<br />

Samaringa.<br />

Se mai l’avesse potuto fare...<br />

Decisamente l’arrivo della nave era un avvenimento a Samaringa. Una<br />

piccola folla <strong>di</strong> curiosi si era addensata sulla spiaggia. Indonesiani dai costumi<br />

sgargianti, vestiti con pareo e turbanti come in un vecchio film d’avventure <strong>di</strong><br />

pirati, uno spettacolo favoloso.<br />

Bambini correvano sul pontile eccitati, donne dai visi orientali, misteriosi,<br />

trattenevano a stento la curiosità mentre gli uomini si davano voci dal pontile<br />

alla nave, in attesa <strong>di</strong> lanciare le gomene per l’attracco.<br />

Dalla foresta si levò un grande uccello dalle ali coloratissime: un aquilone. Il<br />

benvenuto degli Indonesiani.<br />

Era quasi un rito veder emergere dai flutti del mare, che solo poche ore<br />

prima era stato un inferno <strong>di</strong> marosi e <strong>di</strong> vento, quello scafo macilento, ma<br />

indenne, foriero <strong>di</strong> speranze e unico contatto con il mondo esterno.<br />

A Julius non sfuggì lo schieramento <strong>di</strong> uomini fermi sul pontile, come una<br />

guar<strong>di</strong>a d’onore. Non erano isolani, né marinai o conta<strong>di</strong>ni, ma gente <strong>di</strong> un’altra<br />

razza ben più pericolosa. Visi tetri, corpi bruciati dal sole e incisi <strong>di</strong> muscoli tesi<br />

come cavi d’acciaio. Erano i pistoleri <strong>di</strong> Klaus Hakermann.<br />

C’erano cinesi, thailandesi e negritos del Borneo, vestiti <strong>di</strong> stracci e uniformi<br />

logore degli eserciti più <strong>di</strong>sparati.<br />

Tutti, in<strong>di</strong>stintamente, avevano il marchio della violenza stampato sul viso.<br />

Cartucce a bandoliera e l’armamento più eterogeneo che fosse mai capitato<br />

<strong>di</strong> vedere a Julius. Tra tutti spiccava la figura <strong>di</strong> un cinese non troppo alto, ma<br />

largo come un pilastro. Il viso seminascosto da un cappello a larga tesa era<br />

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