di Stefano Di Marino - Words from Italy
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In fin dei conti stava giocando la parte dell’avventuriero raffinato a modo suo.<br />
Un genere d’uomo che Hakermann doveva apprezzare, perché un poco vi si<br />
identificava. Un europeo perso nella grande Asia brulicante <strong>di</strong> vita e crudeltà.<br />
Il contrabban<strong>di</strong>ere era un uomo <strong>di</strong> gusto. Lo si intuiva dall’arredamento della<br />
sua abitazione, felice incontro <strong>di</strong> design occidentale e arredamento tropicale, in<br />
cui facevano spicco paraventi laccati che sul mercato <strong>di</strong> Hong Kong dovevano<br />
essere costati una fortuna.<br />
Impeccabile in giacca <strong>di</strong> lino azzurro, Klaus Hakermann aveva <strong>di</strong>retto la<br />
conversazione come una prova d’orchestra.<br />
Con estrema eleganza, quasi una ritualità colta al <strong>di</strong> là dei singoli gesti,<br />
muoveva le mani ora accompagnando con mosse stu<strong>di</strong>ate se non enfatiche le<br />
sue parole, ora spizzicando dalle portate degne <strong>di</strong> un banchetto imperiale.<br />
Con stupore <strong>di</strong> Julius avevano gustato quasi esclusivamente cucina<br />
giapponese. Sushi e tempura presentati in piccoli piatti che da soli erano<br />
capolavori <strong>di</strong> gusto e composizione.<br />
In realtà nell’abitazione <strong>di</strong> Hakermann era richiamato il gusto nipponico della<br />
semplicità, in armonia con l’eleganza degli elementi. Ricordava la tra<strong>di</strong>zione<br />
giapponese, il portaspade in mogano su cui erano adagiate una coppia <strong>di</strong> katane<br />
giapponesi.<br />
Notando l’interesse <strong>di</strong> Julius, Hakermann ritenne <strong>di</strong> dovergli una spiegazione.<br />
— Sono dai katana e wakizashi, la coppia <strong>di</strong> lame che <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto ogni samurai<br />
reca con sé; sa come le chiamano?<br />
Julius assentì, trattenendo tra le <strong>di</strong>ta la tazza <strong>di</strong> saké appena tiepido. La<br />
ritualità della conversazione era affascinante, quasi non si trovasse <strong>di</strong>nanzi a un<br />
contrabban<strong>di</strong>ere <strong>di</strong> droga, ma a un professore <strong>di</strong> cultura orientale.<br />
— Dai sho — rispose sillabando: il lungo e il corto.<br />
— Oh, lei è più colto <strong>di</strong> quanto pensassi — si compiacque Hakermann. — Dai<br />
sho, sì, molto più che due semplici spade, ma il simbolo <strong>di</strong> un mondo che ora è<br />
scomparso. Il mondo del Bushido, il co<strong>di</strong>ce dei samurai.<br />
— Lei si ritiene un samurai?<br />
Hakermann non rispose. Si limitò ad alzarsi compiendo un paio <strong>di</strong> passi<br />
verso la finestra. Si muoveva con eleganza nonostante l’età, pareva un anziano<br />
ballerino che non ha perso la scioltezza del movimento. Un raggio <strong>di</strong> luna ne<br />
illuminò il viso nobile che il sole tropicale non aveva bruciato.<br />
— Il guerriero — sospirò con un battito <strong>di</strong> ciglia — è colui che si oppone al<br />
caos, secondo la dottrina in<strong>di</strong>ana del Mahabarata, ma chi meglio <strong>di</strong> me sa che<br />
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