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Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo<br />

occasione del Parlamento tenuto nel Capitolo del monastero di S. Lorenzo, nella<br />

tornata del 2 marzo 1443, Alfonso, accettando le proposte presentategli dai<br />

baroni, sanciva il pagamento annuale di 10 carlini per focolare. Anche re Ladislao,<br />

il 26 luglio 1400, aveva imposto il pagamento di 10 grani al mese per ogni<br />

fuoco 260 . In cambio del pagamento Alfonso I si impegnava a fornire a ciascuna<br />

famiglia un tomolo di sale 261 . La tassa finiva, perciò, con l’essere di 49 grani,<br />

dal momento che un tomolo di sale costava 51 grani e ogni carlino valeva 10<br />

grani. Per poco, tuttavia. Presto il re pretese il pagamento del sale. E ne sancì la<br />

“norma” nel Parlamento del 1449, in cui impose che il tomolo di sale fosse pagato<br />

da ogni Università e barone in due rate. In tale Parlamento fu sostituito al<br />

focatico una taxa generalis fissata in 230.000 ducati, in quanto in 230.000<br />

erano contati i fuochi e 10 carlini equivalevano a un ducato. Nel Parlamento<br />

del 1456, baroni e Università ottennero di pagare le rate o tande del focatico 15<br />

giorni dopo la loro scadenza:<br />

zoè XV dì poy natale, XV dì poy pasca et XV dì poy lo mese de augusto 262 .<br />

Tutti questi cambiamenti imponevano alla Sommaria un lavoro incessante<br />

e un continuo affluire di contestazioni e cause.<br />

Sotto Ferrante, nei momenti più difficili, in particolare nel corso delle lotte<br />

sostenute per la successione al trono, divennero usuali le collette, anche se<br />

presto si tornò alla numerazione dei fuochi e alla consueta tassa sulle famiglie<br />

263 . A tale sistema di tassazione restò legato Ferrante, per tutti gli anni<br />

successivi del suo regno, anche se tentò di sostituirlo nel 1481 e, probabilmente,<br />

nel 1484 con una tassazione generalizzata sui prodotti e le merci 264 .<br />

habito respectu ad capita et non ad bona [...] sicuti tempore Regis Alphonsi Aragonum impositis<br />

focularibus, qui pro capitibus imponebantur. Tertium exemplum, quando imponitur collecta<br />

personalis, habita tamen consideratione rerum, ut quia plus diviti, quam pauperi imponitur<br />

[...]».<br />

260 A p. 13 sg. dell’articolo di Barone, Notizie Ladislao, 13 (1888), è detto: «S’impone una gabella di<br />

grani 10 al mese per ogni fuoco, cessando le altre fiscali funzioni, per provvedere alle paghe della<br />

gente d’arme». Egli cita dal f. 5 del registro di Cancelleria 366.<br />

261 Gentile, La politica, pp. 1 sgg.; Del Treppo, Il Regno, pp. 110 sgg.<br />

262 Cassandro, Lineamenti, p. 94 sg., che riporta un documento del 1456 dell’Archivio di Stato di<br />

Napoli andato poi distrutto.<br />

263 Ciò risulta, tra l’altro, in una lettera del re a un commissario per l’università di Pretacastella<br />

dell’11 giugno 1465, riportata in Cassandro, Lineamenti, Appendice documentaria XIV, p. 149.<br />

264 Cfr. Repertorium, cc. 95, 109, 110, 125r e v, 136; ASN, Summariae Partium, 27, c. 200r e v. Nel<br />

suo tentativo Ferrante probabilmente era sorretto dalla considerazione che nelle città del regno, in<br />

cui più vivaci erano i commerci, gli introiti dei dazi e delle gabelle superavano abbondantemente le<br />

somme imposte per le collette o per il focatico. L’accantonamento di tale tentativo testimonia<br />

indirettamente i limiti dell’incidenza dell’attività commerciale e industriale nell’economia delle regioni<br />

del Regno. Relativamente ai maggiori profitti derivanti al bilancio cittadino da questa forma<br />

d’imposizione fiscale cfr. quanto osserva Goffredo di Gaeta a p. 637 del commento ai Ritus, più volte<br />

citato: «[...] Neapolis [...] antiquitus tenebatur in collectis usque ad summam circa septingentarum<br />

unciarum, aut parum minus, et quia dicta civitas habet datia et vectigalia, quae multum<br />

superabundant dictam quantitatem [...] satis est quod de illis solvantur praedictae collectae [...]».<br />

Non diversamente a Barletta, come risulta da quanto scrive G.I. Cassandro in Pergamene Barletta,<br />

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