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Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo<br />

aveva abolito e che i successivi re aragonesi avevano reintrodotto; consolidò le<br />

modalità del prelievo sui consumi e sulla produzione, già presenti in età aragonese,<br />

con pochi cambiamenti, relativi soprattutto all’importazione e all’estrazione<br />

di merci dalla città di Napoli; ricorse alla pratica dei donativi, cioè a<br />

contribuzioni straordinarie ma periodiche, ripartite tra comunità e baroni per<br />

delibera del parlamento 347 .<br />

La politica fiscale di Ferdinando il Cattolico, che si proclamava legittimo<br />

successore ed erede dei sovrani aragonesi, fu quindi improntata al tentativo di<br />

contemperare la continuità dell’esperienza di governo aragonese con l’esigenza<br />

di accresciuto controllo dell’apparato amministrativo, innanzitutto fiscale,<br />

indispensabile a reperire risorse da inviare fuori dai confini del Regno. Ne<br />

conseguì che a pochi anni di distanza dall’ingresso del Regno di Napoli nella<br />

Monarchia spagnola furono sottoposti a verifica sia l’operato di commissari e<br />

percettori provinciali, sia la gestione di magistrature finanziarie come la Sommaria,<br />

la Tesoreria Generale e la Scrivania di Razione 348 . Tali controlli non<br />

produssero tuttavia i benefici sperati, dal momento che dalla documentazione<br />

studiata da Antonio Calabria e da Gaetano Sabatini si evince che durante il<br />

regno del Cattolico non solo non si ebbe alcun incremento del gettito fiscale,<br />

ma che neppure i meccanismi di verifica e di controllo amministrativo sortirono<br />

gli effetti voluti, mentre cominciò a imporsi la tendenza ad acquisire denaro<br />

alienando le entrate derivanti dai cespiti della corona in perpetuo, oppure fino<br />

alla restituzione del capitale 349 .<br />

Fu questa l’eredità raccolta nel 1516 dal giovane Carlo V, che dovette subito<br />

affrontare il problema del dissesto finanziario e della tendenziale contrazione<br />

dei proventi fiscali del regno. Ed egli si mosse con prudenza, rispettando le<br />

consuetudini e i privilegi di Napoli, e persino accettando il rallentamento del<br />

prelievo fiscale, nel solco della tradizione che era già stata di Ferdinando il<br />

Cattolico. Nel contempo, promosse approfondite indagini sull’amministrazione<br />

finanziaria napoletana, volte a individuare adeguate strategie di controllo<br />

dell’operato degli ufficiali, di riduzione delle spese e di incremento delle entrate.<br />

Da tali analisi sarebbero scaturite due memorie, in cui veniva denunciato<br />

l’intreccio di interessi privati che comprometteva le casse dell’erario, presentate,<br />

rispettivamente nell’agosto e nell’ottobre 1521, da Charles Leclerc, presidente<br />

della Chambres des Comptes di Lille, e dal gran cancelliere Mercurino<br />

Gattinara 350 . D’altronde, la tendenza di magistrati e funzionari della Sommaria<br />

347 Bianchini, Storia, pp. 217 sgg.; Sabatini, Il processo, pp. 292 sgg. In passato si insisteva sul fatto<br />

che l’unica vera innovazione fosse stata la creazione nel 1507 del Consiglio Collaterale, che assisteva<br />

il viceré nell’espletamento delle funzioni di governo assumendo un ruolo politico di primo piano tra<br />

gli uffici dell’amministrazione centrale; Colussi, Diritto. Sicilia, Un consiglio, pp. 28 sgg., mostra<br />

invece che già in età alfonsina, nel 1439, fosse usata l’espressione «collateralis consiliarius».<br />

348 Sabatini, Il controllo, pp. 20 sgg.; Muto, Il regno.<br />

349 I re aragonesi ricorrevano invece al contratto di cambio, con indebitamento a breve: Giuffrida,<br />

La finanza, pp. 62-63. per Sabatini si vedano i testi citati nelle note precedenti; per Calabria: La<br />

finanza.<br />

350 La relazione del Gattinara, per primo utilizzata da Galasso, Momenti, pp. 148-155, trovò con<br />

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