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Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo<br />

Quanto ai segni ortografici, quali apostrofi e accenti, e alla punteggiatura,<br />

la cui distribuzione nel Repertorium, così come nei manoscritti ad esso contemporanei,<br />

è quanto mai irregolare 412 , ho ritenuto necessario intervenire<br />

regolarizzandone l’uso per suggerire quella che mi è sembrata di volta in volta<br />

l’intonazione di lettura più coerente con la situazione testuale e contestuale 413 .<br />

L’assenza di una punteggiatura regolare si combina nel testo con l’unione<br />

grafica, cioè la mancata separazione di parole logicamente distinte ma non<br />

nella pronuncia. In questi casi ho staccato le due parole indicando con l’apostrofo<br />

eventuali elisioni o aferesi avvenute. Sono ricorso inoltre all’accento per<br />

distinguere parole che nel testo divengono omografe quali faccia, terza persona<br />

del congiuntivo presente di un cosiddetto «verbo irregolare» che in quanto<br />

tale sopravvive quale «resto isolato di antiche forme congiuntive» 414 che con la<br />

fine del Medioevo sono andate perdendo gradualmente di vitalità, e faccìa,<br />

terza persona dell’imperfetto con desinenza in -ia diffusa nell’Italia meridionale<br />

415 e geminata -cc- dinanzi a vocale palatale 416 .<br />

Ho inoltre utilizzato quale segno diacritico il punto in alto per indicare il<br />

raddoppiamento fonosintattico dell’iniziale di parola, e le alterazioni della<br />

consonante finale delle proclitiche per «avvicinamento al punto di articolazione»<br />

della iniziale della parola seguente (im⋅ potere) 417 .<br />

Le abbreviazioni, che sono state naturalmente sciolte “secondo le lettere”<br />

(buchstabengetreue) e non “secondo la pronuncia” (lautgetreue) 418 , nel caso di<br />

dubbia “soluzione” sono state risolte tra parentesi tonde 419 . Ho sciolto il<br />

titulus, quando sostituisce la vocale finale, nel modo più plausibile sulla base<br />

del contesto, e non sempre come -e (dello ferro e non delle ferro da dell’ ferro,<br />

Repertorium, c. 122): infatti piuttosto che introdurre ex novo elementi di<br />

grafia incongrui, ho preferito correre il rischio di «regolarizzare una termina-<br />

412 Per la storia dell’introduzione e della regolarizzazione di questi segni diacritici e della<br />

punteggiatura cfr. Hartmann, Zur Geschichte; Migliorini, Saggi, pp. 221-223; idem, Storia, pp. 383-<br />

385; Storia e teoria dell’interpunzione; Polara, Problemi; Mortara Garavelli, Storia; Cignetti,<br />

Interpunzione. Tra l’altro titulus e apostrofo tendono ad esser confusi nella loro utilizzazione; cfr. a<br />

questo riguardo almeno Ageno, Particolarità, p. 177: «Una lineetta verticale collocata a destra della<br />

lettera, in alto però rispetto ad essa (apice), prende il posto dell’antico titulus per indicare n, m; a<br />

fine di parola, a destra di l, m, n, e al di sopra di r, significa troncamento (è quindi un vero e proprio<br />

apostrofo)».<br />

413 Di fronte a un problema analogo si trovano gli editori di fonti storiche bizantine. Gli editori del<br />

Corpus fontium historiae Byzantinae lo hanno tuttavia risolto diversamente, escludendo anche<br />

dall’apparato accenti, spiriti e altre particolarità grafiche. Cfr. Richtlinien, p. 186: «Durch Orthographie<br />

und Itazismen bedingte Schreibungen, Akzente, Spiritus, Interpunktionen, iota adscriptum, ny<br />

ephelkystikon und ähnliches scheinen im Apparat nicht auf».<br />

414 Rohlfs, Storia, Morfologia, par. 559, p. 301.<br />

415 Ibidem, par. 552, pp. 291-293.<br />

416 Rohlfs, Storia, Fon., par. 231, p. 324.<br />

417 Ibidem, par. 242, p. 341.<br />

418 Per questa polemica cfr. Mayer, Zur Edition.<br />

419 Per dubbia soluzione intendo anche la possibile alternanza tra litera e lettera, dove l’incertezza<br />

non riguarda il valore semantico della parola ma la fonetica del significante.<br />

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