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Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo<br />

chieste di denaro provenienti dalla corte imperiale, mentre più forti si avvertivano<br />

le spinte autonomistiche e le ostilità verso una guida politica lontana 355 .<br />

D’altronde, per il forte vincolo che già dai secoli basso medievali legava<br />

singoli paesi e regioni dell’Europa mediterranea al “sistema internazionale” dei<br />

commerci, il Mezzogiorno d’Italia, rappresentò un’area economica regionale a<br />

forte vocazione agricola, inserita nella sfera d’influenza di un’«economia-mondo»<br />

incentrata nelle grandi città di Genova, Venezia e Firenze, a loro volta precocemente<br />

specializzate nella pratica mercantile e finanziaria, nella esportazione<br />

di lunga distanza. L’Italia meridionale ebbe quindi in Napoli una piazza<br />

commerciale e finanziaria di rilevanza internazionale, nell’epoca compresa tra<br />

gli albori della “rivoluzione dei prezzi” e la “crisi del ’600”, e uno dei fulcri del<br />

sistema imperiale e della politica finanziaria della monarchia spagnola, da<br />

Carlo V a Filippo IV 356 .<br />

Il disegno, da Carlo V tenacemente perseguito, di stabilire un’egemonia sul<br />

continente europeo comportava necessariamente il soddisfacimento dei crescenti<br />

bisogni finanziari col drenaggio del circuito dell’offerta monetaria, col<br />

prelievo fiscale e il ricorso a nuovi strumenti creditizi atti a raccogliere e mettere<br />

in movimento da una regione all’altra dell’Europa ingenti somme di danaro.<br />

Il ricorso alla finanza mercantile e bancaria, agile nel drenare il risparmio e i<br />

valori mobiliari in circolazione, creava un singolare intreccio delle due sfere<br />

finanziarie, la “pubblica” e la privata 357 , difficilmente riconducibile alle categorie<br />

della moderna sovranità e denso di implicazioni non solo economiche, ma<br />

anche politico-sociali, che non potevano non riflettersi nella gestione e nel<br />

controllo dell’azione amministrativa e degli uffici finanziari 358 . Anche se non<br />

355 Sulla politica fiscale spagnola e l’economia reale De Rosa, Il Mezzogiorno, pp. 11 sgg.; Calabria,<br />

The Cost, pp. 37 sgg.; Galasso, Alla periferia, pp. 185 sgg. Tali limiti sarebbero stati raggiunti<br />

soltanto nel Seicento: Sabatini, Il controllo fiscale, pp. 46 sgg. Sull’antispagnolismo si veda il<br />

volume collettaneo curato da Aurelio Musi: Alle origini.<br />

356 Per la nozione di «economia-mondo» cfr. Braudel, Civiltà, I, pp. XXI-XXV; Wallerstein, Il<br />

sistema, che tuttavia, a p. 49 del I volume, assegna una dimensione riduttiva all’economia-mondo<br />

delle «città-Stato dell’Italia». Su questo punto cfr. le obiezioni di Schneider, Was there e Sella, The<br />

World; nonché le riflessioni e le puntualizzazioni di Del Treppo, Stranieri, pp. 184 sgg.; per un<br />

bilancio su Wallerstein da una prospettiva a lui vicina si veda il contributo di Goldfrank, Paradigm.<br />

Sul carattere precocemente “internazionale” del Mezzogiorno cfr. Lopez, La rivoluzione, pp. 135-144<br />

e passim; Yver, Le commerce; Abulafia, The two Italies e Southern; per un’età successiva Del<br />

Treppo, I mercanti; Braudel, Mediterraneo, p. 707 e passim; idem, Civiltà, II, passim. Le critiche<br />

radicali mosse dal volume di Epstein, Sicily, alle linee interpretative proposte da Abulafia e Bresc,<br />

sono state acutamente ridimensionate, in relazione alla rilevanza del “commercio internazionale”,<br />

da Petralia, La nuova Sicilia. Per una sintesi recente dedicata a Napoli nel mercato mediterraneo<br />

della Corona de Aragón Iradiel, Nápoles.<br />

357 Una netta differenziazione delle due sfere, la pubblica e la privata, rimanda a una separazione<br />

tra ius publicum e ius privatum che non si realizzò prima della fine del XVIII secolo con la<br />

separazione di Stato e Società. Cfr. Grimm, Die Trennung, pp. 55 sgg.<br />

358 Benché faccia un uso non del tutto condivisibile di concetti come pubblico, privato e stato, cfr.<br />

quanto scrive Van Der Wee, Sistemi, p. 417: «La riorganizzazione della finanza pubblica fu<br />

determinata non soltanto dall’espansione quantitativa del sistema di credito e di tassazione o dalla<br />

proliferazione e dal perfezionamento delle varie forme di credito e di tasse, ma dipese anche da<br />

un’autentica, seppur lenta, evoluzione degli atteggiamenti mentali delle autorità e della popolazione<br />

nei confronti delle imposte e del credito pubblico. Il crescente potere dello Stato rinsaldò la fiducia<br />

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