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73<br />

Introduzione<br />

ritrovano nel manoscritto utilizzato dal Pisani e dopo di lui dall’Ageta 170 , e<br />

negli altri più recenti, come quello consultato dal Pecchia 171 . È forse azzardato<br />

ipotizzare che la raccolta venisse redatta nella forma definitiva non per i<br />

Maestri Razionali, ma piuttosto per l’officium rationum o Sommaria, nel momento<br />

in cui esso venne ad accentrare su di sé tutte le competenze un tempo<br />

dei Maestri Razionali? L’esame del testo consente di affermare che si riportano<br />

norme che possono interessare solo gli uffici centrali della Camera della Sommaria<br />

e le sue dipendenze periferiche. Inoltre i Ritus, come ci sono stati tramandati,<br />

presentano le note, quasi sempre ampie e particolareggiate, di<br />

Goffredo di Gaeta, il quale, vissuto sotto gli ultimi re angioini e i monarchi<br />

aragonesi, occupò il ruolo di presidente della Sommaria per più anni e, di<br />

conseguenza, non poteva non pensare all’utilità dei Riti che commentava<br />

proprio per la prassi di ufficio della magistratura in cui operava.<br />

L’importanza della Sommaria sin dai primi anni del ’400 è ulteriormente<br />

confermata proprio dal diploma di Alfonso I d’Aragona del 23 novembre 1450.<br />

Il re Ladislao affidava ai Presidenti della Sommaria il compito di esaminare i<br />

conti dubbi, senza doverli rimettere alla decisione dei Maestri Razionali. In tale<br />

pratica vollero insistere anche i suoi successori, Giovanna II in particolare e poi<br />

Alfonso I.<br />

Fu riforma quella di Alfonso o riordinamento e ripristino di antiche<br />

consuetudini ? Il re aragonese era troppo esperto di politica per aver volontà di<br />

riformare o rivoluzionare antichi ordinamenti in un paese appena conquistato.<br />

Troppo accorti furono i suoi successori per volere non necessarie innovazioni.<br />

Pur se Alfonso, e ancor più Ferrante, appaiono improntare il loro agire<br />

politico-amministrativo a quella Zweckrationalität che proprio in quest’età, in<br />

seguito alla crescente razionalizzazione dei rapporti sociali, andava acquistando<br />

più netta caratterizzazione, essi si rivelarono sempre proclivi a non alterare<br />

radicalmente le istituzioni esistenti, sottoponendole piuttosto a più severo<br />

controllo procedurale, sempre legittimando col richiamo ai momenti “incorrotti”<br />

della tradizione, ai provvedimenti di re Ladislao «recolende memorie» o di<br />

Giovanna II «matris nostre carissime» e in genere alle constitutiones e capitula<br />

del regno, gli improcrastinabili interventi dettati dalle sempre nuove necessità<br />

politiche e finanziarie. La pur accresciuta statualizzazione del diritto, dovuta<br />

in questi anni all’aumento progressivo della legislazione regia, appare contesta<br />

della necessità di inglobare consuetudini, usi, e riti, non sempre congrui,<br />

da cui promanava, in forza della tradizione, autonomo valore normativo 172 . La<br />

170 Ageta, Annotationes.<br />

171 Storia civile, III, pp. 170 sgg.<br />

172 Il rapporto tra normativa e prassi amministrativa ‒ nella Alteuropa non diversamente che nelle<br />

società a noi contemporanee ‒ non va quindi ricondotto ad una astratta polarizzazione di marca<br />

neokantiana tra Sollen e Sein. La realtà amministrativa, in quanto realtà sociale, è ben lontana dal<br />

rivelarsi cruda “fatticità” in cui le norme del diritto introdurrebbero di volta in volta la procedura<br />

auspicata. Piuttosto, attraverso gli usi, le consuetudini e le pratiche, che pur costituiscono una sfera<br />

di opaca resistenza alle “imposizioni” del diritto, essa esprime una propria vincolante “normativa”<br />

che può non solo condizionare l’applicazione del diritto ma anche il suo stesso costituirsi. D’altra

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