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Burocrazia e fisco a Napoli tra XV e XVI secolo<br />

330<br />

È il castello di Anacapri, di cui sono ancora oggi visibili i ruderi.<br />

331<br />

ASN, Partium 1, c. 51.<br />

332<br />

Si tratta del Partium 170 (ASN), mutilo tuttavia dalla c. 274.<br />

333<br />

Si tratta del cardinale di Tortosa, in Spagna, Guglielmo Enkevort, «cui fit gratia de juribus<br />

papae et collegii card.», cfr. Eubel, III, p. 202 e nota. I cardinali godevano del diritto di poter fare<br />

estrarre cento botti di vino dal Regno di Napoli per Roma per servizio delle loro case. Per i problemi<br />

giurisdizionali sollevati da questa concessione ancora nella seconda metà del ’500 e del ’600,<br />

cfr. BSNSP, ms. XXIII.B.7: Affari di giurisdizione, VIII, cc. 287­288.<br />

334<br />

Si tratta del Partium 41, non 4: ASN, Partium 115, cc. 30v­31. Cfr. anche infra, c. 324v e nota.<br />

335<br />

Cfr. supra, c. 29v.<br />

336<br />

ASN, Partium 114, c. 345. Va precisato che questo registro ha una foliazione molto irregolare.<br />

Credenziere della terzaria del ferro della dogana dell’Aquila è il nobile Sebastiano Ferraiolo.<br />

337<br />

ASN, Partium 50, c. 69v; lettera del 1° settembre 1500.<br />

338<br />

Ivi, cc. 97v-98; lettera del 28 settembre 1500. Il doganiere è Giorgio Volpe; la credenzeria del<br />

fondaco del ferro è dei figli ed eredi del «quondam notare Iohanne de Petruciis».<br />

339<br />

ASN, Partium 1, c. 97.<br />

340<br />

Cfr. su di lui Fonti Aragonesi, XIII, p. 158 e relativa nota. Una copia, degli ultimi decenni<br />

del XVI secolo di questi capitoli di arrendamento, ripresa proprio dalla c. 212 del registro Curie<br />

tertium, è edita in Fonti Aragonesi, XIII, p. 215 s: è tuttavia datata 9 maggio; inoltre è lasciato in<br />

bianco il nome del Sarrocco.<br />

341<br />

Non è tra i frammenti di registri Commune Summariae custoditi in ASN, Museo 99 A 31.<br />

342<br />

Cfr. supra, c. 30. È Francesco Coppola.<br />

343<br />

Dal 1905 Arsita (TE): riprende il nome dell’antico castello di Arsita posto tra il Fino e il torrente<br />

S. Martino, cfr. Amati, Dizionario corografico, I, p. 525. «Nel 1481 il Re Ferdinando la<br />

donò all’università di Civita di Penne, con tutte le sue ragioni, ed intero stato, che già prima era<br />

stata pur donata a detta università da Alfonso duca di Calabria suo figlio in ricompensa de’ danni<br />

sofferti, e della fedeltà mostrata dagli abitanti di essa città (Quint. privileg. I, fol. 49). Il detto<br />

Ferdinando però l’aggregò di poi al contado di Sanvalentino (San Valentino), e nel 1507 si trova<br />

posseduto da Cola Gentile, Virginio, Organtino, Giulio, e <strong>Paolo</strong> Orsini fratelli (Quint. 4. fol. 64.<br />

Vedi l’articolo Sanvalentino Abbateggio). Fu posseduto poi da Ranuccio Farnese, e ne! 1623, gli<br />

succedette il di lui figlio Odoardo (Vedi l’articolo Altamura). Quindi è ora de’ feudi Farnesiani<br />

appartenenti a S. M. il Re delle due Sicilie», cfr. Giustiniani, Dizionario, II, p. 123 sg.<br />

344<br />

ASN, Notamenti 6, c. 49v, 31 gen. 1504. Doganiere è Lorenzo de Palmeriis, ivi, c. 59v.<br />

345<br />

ASN, Partium 46, c. 140v-141r. La lettera è del 4 settembre 1498; concerne tuttavia le entrate<br />

della dogana di Caiazzo, non di Castellamare.<br />

346<br />

ASN, Notamenti 3 ter, c. 141, 1 mar. 1488.<br />

347<br />

ASN, Notamenti 3 bis, c. 77v, in margine all’annotazione del 4 giug. 1484, ma con data «XXV<br />

presentis ». Alla c. 56 non ne ho invece trovata menzione.<br />

348<br />

«ACQUAMELA o della MELA uno de’ V. Casali dello Stato di Sanseverino in Principato citra,<br />

in diocesi di Salerno, del quartiere appellato appunto di Acquamela. Questa terra è molto infelice<br />

per la sua situazione, e per la cattiva aria, che vi si respira, checché altri dicesse, correndoci sempre<br />

molte acque delle tintorie e valchiere, che sono in quei contorni. I Padri Domenicani in tempo<br />

di estate fuggono da quel loro monistero, per così garantirsi da qualche infermità. Ella si trova a<br />

distanza di miglia 4. dalla città di Salerno», cfr. Giustiniani, Dizionario, 1, p. 48.<br />

349<br />

Secondo il Ritus I, contenuto nella Rubr. XXIII (Ritus, p. 498) lo Ius Balistarum fu introdotto<br />

da Federico II imperatore. Tutte le navi, che erano andate ultra mare, in reditu dovevano una<br />

balestra se a un albero (gabia), due se a due, tre se a tre alberi. Se sprovvisti delle tre bale stre<br />

dovevano conferire alla Curia 5 once d’oro. Da una nota (di quelle adespote) a tale rito, si sa che<br />

tale diritto non veniva sempre esatto, ma che, nel 1468, lo era stato. Dal Repertorium apprendiamo<br />

che anche nel 1495 veniva riscosso. Dal Ritus II di detta Rubrica ricaviamo che se il vascello<br />

trasportava vegetas tricentas doveva 3 once, oltre trecento 5 once, se soltanto 100 un’oncia e 15<br />

tarì. Al conteggio degli alberi si era dunque sostituito il computo delle botti trasportate (vegetes).<br />

350<br />

Cfr. supra, c. 36v.<br />

351<br />

Cfr. infra, c. 165.<br />

352<br />

Una copia, degli ultimi decenni del XVI secolo, di questo provvedimento, è edita in Fonti<br />

Aragonesi, XIII, pp. 216 sgg. Doganiere era Onofrio Bucciarelli, di Chieti.<br />

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