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Rischio psicosociale e problematiche inerenti l'identità in ...

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Percepire di avere un legame affidabile con i propri genitori<br />

<strong>in</strong>crementa <strong>in</strong>oltre la percezione della genitorialità e della filiazione<br />

adottiva che, come abbiamo visto <strong>in</strong> precedenza, costituisce la variabile<br />

che più di ogni altra (quale per esempio la competenza sociale, la<br />

presenza o meno di problemi comportamentali e di apprendimento) è<br />

capace di rilevare e di essere attendibile rispetto al successo o<br />

all'<strong>in</strong>successo di un'adozione.<br />

Alla luce di tutto questo è possibile dunque sostenere che la<br />

qualità delle relazioni familiari svolge una funzione altamente protettiva<br />

nello sviluppo psicologico dell'adolescente adottato, soprattutto quando<br />

è possibile per lui non recidere il v<strong>in</strong>colo con il passato, mantenendolo<br />

vivo almeno nella parola e nel ricordo (Bramanti, 1998a). In questo<br />

"lavoro" anche i figli adottivi devono però metterci del proprio, nel<br />

senso che essi devono trovare il coraggio di trattare la confusione della<br />

loro "doppia orig<strong>in</strong>e", per riconoscere che <strong>in</strong> realtà tutto si riconduce ad<br />

un'unica vicenda storico-affettiva (Cigoli, 1998).<br />

A tutti i soggetti co<strong>in</strong>volti <strong>in</strong> questa avventura, nonni, genitori,<br />

figli adottivi, spetta il compito di restituire un senso ai legami facendo<br />

"di più stirpi una comune dimora" (ibidem), cioè un luogo che<br />

accomuna somiglianze e differenze, eventi ed emozioni, senza ridurre o<br />

tacere i rischi e i significati che questa impresa comporta.<br />

La duplice sfida "adozione e adolescenza" può essere così v<strong>in</strong>ta<br />

attraverso il processo di storicizzazione secondo cui tutti i dolori<br />

possono essere sopportati e superati se vengono trasformati <strong>in</strong> racconto;<br />

raccontare la propria tragedia significa farla esistere nella mente di<br />

un'altra persona, trasformarla <strong>in</strong> confidenza e donarle un valore<br />

relazionale. Nella condivisione emotiva il dolore diventa dunque una<br />

"verità narrabile" (Guidi e Tosi, 1996), dove i fatti e le emozioni<br />

possono trovare posto e ord<strong>in</strong>e, e dove anche le persone che hanno<br />

generato il figlio possono essere collocate nel loro ruolo e tempo<br />

specifico, superando l'immag<strong>in</strong>e di "fantasmi" che, nella forma<br />

dell'<strong>in</strong>visibile, manterrebbe un carattere persecutorio e <strong>in</strong>esplicabile<br />

(ibidem).<br />

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