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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

Qui è però necessario prestare attenzione a non confondere la nostra esperienza affettiva<br />

di amare con l’acquisizione di una coscienza rappresentativa di noi stessi come amanti;<br />

l’amore, come qualsiasi affetto, è infatti sempre un amore provato; se noi proviamo verso<br />

Dio amore e fiducia, e di conseguenza tutti gli altri affetti legati al provare amore (come la<br />

gioia dell’amore, o come la sofferenza che si ha quando questo amore non riesce a<br />

maturare al meglio o quando una qualsiasi terza persona offende in qualche modo <strong>il</strong><br />

nostro amore), tutti questi affetti sono per l’appunto affetti provati e quindi forme di<br />

esperienza. Del tutto distinto da questa esperienza affettiva, invece, è <strong>il</strong> fatto che io mi<br />

renda conto intellettualmente (cioè facendo di me un oggetto per me stesso, per <strong>il</strong> mio<br />

pensiero, un po’ come se mi “guardassi dall’esterno”) di essere una persona che crede e<br />

che ama. Nella vita del credente <strong>il</strong> secondo elemento, la seconda esperienza, cioè<br />

l’esperienza di se stessi come credenti e amanti mediata dal pensiero, può indubbiamente<br />

mancare; la prima, l’esperienza affettiva, è tuttavia assolutamente essenziale e<br />

immancab<strong>il</strong>e, e non può non essere considerata esperienza.<br />

Da qui deriva però la necessità di un secondo chiarimento: parlare di esperienza fa<br />

pensare che sia necessario parlare anche di oggetti dell’esperienza; se si ripensa all’ipotesi<br />

che inizialmente avevo proposto di scartare, cioè a quella secondo cui l’esperienza<br />

religiosa si identifica con l’esperienza mistica, occorre certamente ammettere che un<br />

punto a favore di questa identificazione, o almeno della considerazione dell’esperienza<br />

mistica come esperienza religiosa per eccellenza, sembra risiedere proprio nel fatto che<br />

tra tutte le possib<strong>il</strong>i forme di esperienza religiosa l’esperienza mistica è quella che nel<br />

modo più chiaro presenta oggetti che le sono propri. Questo non vale invece per<br />

l’esperienza affettiva; si può forse dire che Dio sia l’oggetto dell’esperienza dell’amare?<br />

Oppure che questa esperienza abbia un oggetto qualsiasi (anche diverso da Dio)? In<br />

realtà occorre comprendere che l’esperienza affettiva non ha la stessa struttura soggettooggetto<br />

di quella percettiva; in essa <strong>il</strong> soggetto non conosce oggetti, ma piuttosto appare<br />

semplicemente a se stesso, non però sottoforma di un oggetto per un soggetto (cioè, per<br />

l’appunto, <strong>il</strong> soggetto non pensa o rappresenta se stesso come un oggetto, come<br />

guardandosi dall’esterno), bensì in un autoapparire a se stesso immediato e (in termini<br />

fenomenologici) immanente, nel quale non c’è distanza o differenza tra ciò che appare,<br />

l’io cui appare e l’apparire stesso (cioè l’amore, in quanto provato, appare in forza di se<br />

stesso, non grazie a un potere distinto da sé che lo fa apparire così come gli oggetti dei<br />

sensi appaiono, per l’appunto, in forza dei sensi; l’apparire dell’amore è dunque l’amore<br />

stesso, non c’è differenza tra l’amore e <strong>il</strong> suo apparire) 200 . Non si può dunque dire che<br />

l’esperienza dell’amare abbia un oggetto (naturalmente l’amore che proviamo per Dio ha<br />

un oggetto, che è Dio, ma l’esperienza dell’amare, <strong>il</strong> provare l’amore, non ci fa esperire<br />

alcun oggetto); essa ci rivela invece solamente noi stessi senza però oggettivarci a noi<br />

stessi.<br />

Alla luce di questa considerazione dell’esperienza religiosa come esperienza affettiva del<br />

credere e dell’amare si possono considerare altri generi di esperienza che spesso vengono<br />

200<br />

Questa concezione dell’esperienza immanente dell’amore (o degli affetti in generale) è naturalmente quella<br />

sv<strong>il</strong>uppata da Michel Henry in vari decenni di ricerche fenomenologiche sull’affettività.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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