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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

Ad ogni modo, dinanzi a quest’ultima precisazione, spesso diffic<strong>il</strong>e da mantenere, e quindi<br />

dinanzi ad un rischio sempre presente di scivolare nell’assunzione di una visione dualista<br />

di f<strong>il</strong>osofia e religione, la riflessione di Héring mi sembra particolarmente benvenuta.<br />

Infatti, nella piena consapevolezza di tutta questa problematica – che qui ho approfondito<br />

attraverso una sorta di mappa delle posizioni interpretative sostenute ancora oggi in<br />

modo maggioritario a proposito dello statuto della disciplina di “f<strong>il</strong>osofia della religione” –<br />

Héring cerca di pensare una terza cosa rispetto alla religiöse Ph<strong>il</strong>osophie e alla Ph<strong>il</strong>osophie<br />

der Religion: cerca di pensare una Religionsph<strong>il</strong>osophie, qualcosa che le lingue latine, dal<br />

francese all’italiano, hanno difficoltà a tradurre. Allora la mia proposta consiste nel dire<br />

che in Héring, dietro l’espressione francese “ph<strong>il</strong>osophie religieuse”, non sta né la religiöse<br />

Ph<strong>il</strong>osophie né la Ph<strong>il</strong>osophie der Religion, ma esclusivamente la Religionsph<strong>il</strong>osophie.<br />

Essendo questo punto fondamentale per tutta la proposta teorica di Héring, si comprende<br />

ora <strong>il</strong> motivo principale dell’estrema precauzione nella traduzione dell’espressione<br />

“ph<strong>il</strong>osophie religieuse” e <strong>il</strong> timore di adottare le espressioni di “f<strong>il</strong>osofia della religione” e<br />

di “f<strong>il</strong>osofia religiosa” per tradurla. Ecco perché ho preferito optare per una terza<br />

soluzione, certo insufficiente ma almeno non equivoca, ovvero “religione”. Dunque, ora è<br />

chiaro come dietro la “religione” del titolo Fenomenologia e religione ci sia tutta la<br />

questione della specificità della nozione di Religionsph<strong>il</strong>osophie, una specificità che qui ho<br />

voluto cominciare a restituire attraverso una definizione di cosa Religionsph<strong>il</strong>osophie non<br />

sia. E abbiamo visto come la quasi totalità delle posizioni ancor oggi rivendicate per la<br />

disciplina di “f<strong>il</strong>osofia della religione” ricadono esattamente in quanto non coincide con<br />

quella Religionsph<strong>il</strong>osophie che a partire da Héring sto qui cercando di pensare. Questo mi<br />

sembra testimoniare da subito l’estrema originalità dello spunto che ci offre Héring, se<br />

esso viene letto nel senso che qui propongo. In Héring, infatti, certamente troviamo come<br />

motivo centrale, quasi ossessivo, <strong>il</strong> superamento del dualismo, anche nelle sue forme<br />

complesse, letteralmente com-plicate, della religiöse Ph<strong>il</strong>osophie e della Ph<strong>il</strong>osophie der<br />

Religion. Ovvero troviamo certamente quel compito fondamentale, per una ridefinizione<br />

della disciplina di “f<strong>il</strong>osofia della religione”, che se assolto e portato fino alle sue estreme<br />

conseguenze ci spinge a delineare una Religionsph<strong>il</strong>osophie in quella specificità che fin qui<br />

ho prof<strong>il</strong>ato solo negativamente.<br />

Per passare così a una disamina non solo negativa dell’idea di Religionsph<strong>il</strong>osophie,<br />

bisogna domandarsi come pensare la specificità della Religionsph<strong>il</strong>osophie.<br />

5. Una possib<strong>il</strong>ità è fornita dalla formulazione di un et-et: et religiöse Ph<strong>il</strong>osophie et<br />

Ph<strong>il</strong>osophie der Religion. Qui forse recupero una delle grandi lezioni di Marco Maria<br />

Olivetti, ovvero la sottolineatura dell’equivocità del genitivo di “f<strong>il</strong>osofia della religione”,<br />

genitivo perciò soggettivo e oggettivo. Anzi, più che di “equivocità”, che potrebbe<br />

pericolosamente prestare <strong>il</strong> fianco a una confusione di soggettivo ed oggettivo, sarebbe<br />

meglio parlare di “ambivalenza” – come lo stesso Olivetti preferiva dire.<br />

Ora, dinanzi a questa ipotesi di lettura, la mia reazione sta in un sic et non – per<br />

continuare a mutuare le formulazioni care ad Olivetti, ed in questo caso rivolgerle a lui<br />

stesso.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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