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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

come qualche cosa, Dio rifugge piuttosto da ogni concetto, visto che non si trova, in luogo<br />

di creature, chi non ha condizione di creatura» 299 . Ciò che <strong>il</strong> cristiano del dialogo fa<br />

comprendere al pagano è che essere in conspectum Dei, per così dire, non è per nulla<br />

pensare l’impensab<strong>il</strong>e, ma pensare o vedere le cose del mondo nella luce dello He<strong>il</strong>ig. La<br />

fenomenologia scheleriana del “sacro” fa emergere precisamente <strong>il</strong> senso di<br />

quell’emozione di cui parla <strong>il</strong> personaggio di Cusano – e che può chiamarsi devozione o<br />

gratitudine – che ispira la confessio laudis e la confessio culpae, la preghiera e <strong>il</strong> salmo,<br />

ma certamente non riduce <strong>il</strong> divino a uno stato d’animo, né la vita di fede alla vita<br />

sentimentale: al contrario, intende <strong>il</strong> divino come ciò che in questa devozione si<br />

manifesta, o “rivela”.<br />

E con questo siamo all’altro punto fondamentale di una fenomenologia del religioso: dopo<br />

la caratterizzazione essenziale del divino, che vede le religioni fondarsi assiologicamente<br />

piuttosto che metafisicamente, ma senza con questo affatto ridurre la religione all’etica né<br />

ancor meno giustificare qualunque fondazione teologica dell’etica (per non parlare poi del<br />

diritto o della politica!). La fenomenologia della religione prevede una descrizione<br />

essenziale degli atti in cui <strong>il</strong> divino si fa fenomeno. Il nucleo di questa fenomenologia<br />

dell’atto religioso è la fenomenologia della “rivelazione”: «La religione in ciascuna delle<br />

sue forme, nella ricchezza del suo contenuto, scorre sempre infatti da una fonte:<br />

oggettivamente dalla “rivelazione” di Dio (che è essa stessa per gradi, sia nella forma sia<br />

nella ricchezza), soggettivamente dalla fede. Per “rivelazione” non intendo qui quello che i<br />

teologi chiamano “la” rivelazione, e neppure la “vera” rivelazione (per non parlare della<br />

rivelazione “positiva”), ma soltanto lo specifico modo di datità di ogni sorta di dati di<br />

intuizione e di esperienza vissuta di un oggetto che abbia l’essenza del divino e del sacro,<br />

e propriamente lo specifico modo di datità dell’essere partecipato o del divenire tale – sia<br />

in modo mediato, sia immediato. L’essenza di questo modo di conoscenza sta in<br />

opposizione a ogni atto di conoscenza spontaneo; e qui non si tratta di una semplice<br />

differenza oggettiva nel modo causale in cui <strong>il</strong> sapere si produce nell’uomo, ma di un<br />

modo radicalmente diverso della possib<strong>il</strong>e formazione di evidenza, che è iscritto nel<br />

processo di conoscenza vissuto» 300 .<br />

7. Edith Stein e le vie della conoscenza di Dio. Credere non è opinare<br />

Questo è un punto che Edith Stein approfondirà nel suo scritto postumo sulle Vie della<br />

conoscenza di Dio, in forma di commento all’opera dello Pseudo-Dionigi l’Areopagita. Colui<br />

che vive l’esperienza religiosa, ovvero “cerca”, può anche non trovare nulla: ma se trova,<br />

trova in un modo caratteristico, che possiamo verificare attestato in tutta la tradizione<br />

spirituale del cristianesimo, ma che i nostri autori generalizzano – sulla scorta di<br />

un’intuizione che risale a Lessing e che è fam<strong>il</strong>iare alla storiografia religiosa tedesca, fino a<br />

Ernst Troeltsch. Questo modo distintivo della “scoperta” religiosa ha due caratteristiche.<br />

299<br />

Nicolò da Cusa, Il dio nascosto, trad. di N. Parinetto, Marcos y Marcos, M<strong>il</strong>ano 1983.<br />

300<br />

M. Scheler, L’eterno nell’uomo cit., p. 399.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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