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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

fenomenologia disegnata a puntini [point<strong>il</strong>lée, come un disegno punteggiato]. Come<br />

potrebbero restare insensib<strong>il</strong>i di fronte all’intrepida regressione verso l’originario, le cui<br />

ambiguità non possono che affascinare, e non certo scoraggiare, le ermeneutiche di una<br />

nuova versione dell’interior intimo meo? Se la “fenomenologia dell’inapparente” non deve<br />

essere interpretata solo come un risalire, ma come un regredire carico di promessa, ogni<br />

sondare più audace diventerà possib<strong>il</strong>e e sarà permesso 330 ». Marion risponde a queste<br />

critiche in varie occasioni, in primis in Dato che. Saggio per una fenomenologia della<br />

donazione 331 , interamente cosparso di riferimenti critici e polemici alle obiezioni di<br />

Janicaud. Tuttavia, volgeremo qui la nostra attenzione ad un testo più breve, pronunciato<br />

da Marion nel gennaio 1993 in occasione della conferenza su Métaphysique et<br />

phénoménologie. Une relève pour la théologie presso l’Institut Catholique di Tolosa 332 .<br />

Scrive Marion: «L’accusa, violenta e pretestuosa anzichè argomentata, di aver trasposto la<br />

metafisica speciale nella fenomenologia, rivela innanzitutto un’interpretazione positivista<br />

del metodo fenomenologico stesso. Inoltre, ha origine da un fraintendimento della<br />

fenomenologia: criticare, infatti, <strong>il</strong> ritorno della metafisica speciale nella fenomenologia<br />

suppone, prima di tutto, che questo sia fenomenologicamente possib<strong>il</strong>e; mentre quando<br />

non cerca più <strong>il</strong> fondamento, ciò diventa per definizione impossib<strong>il</strong>e. […] [La critica di<br />

Janicaud] presupporrebbe non soltanto l’esistenza di un metodo fenomenologico unico<br />

che precede tutte le dottrine, ma presupporrebbe anche che non vi sia stata nessuna<br />

evoluzione dal momento idealista e costitutivo di Husserl, tra <strong>il</strong> 1913 e <strong>il</strong> 1929, fino ai<br />

nostri giorni. Nessuna di queste osservazioni va da sé, tanto più che appartiene<br />

all’essenza della fenomenologia l’essere resa possib<strong>il</strong>e dall’a posteriori e dunque non<br />

essere predeterminata a priori da nessun divieto. Se c’è una f<strong>il</strong>osofia <strong>il</strong> cui metodo è<br />

incondizionatamente aperto e <strong>il</strong> cui pensiero è senza presupposto, questa è proprio la<br />

fenomenologia, la quale si è conquistata, contro la metafisica, <strong>il</strong> diritto di “andare alle cose<br />

stesse!” – esortazione che potrebbe essere commentata con l’espressione “vietato<br />

vietare!”. L’unico criterio che la fenomenologia possiede le viene dai fatti – dai fenomeni<br />

che l’analisi dispiega, da ciò che essa rende visib<strong>il</strong>e. Ciò che si mostra, si giustifica per <strong>il</strong><br />

suo stesso mostrarsi» 333 . Questo mi pare essere attualmente l’orizzonte del lavoro<br />

330 D. Janicaud, Le tournant théologique de la phénoménologie française, L’Éclat, Paris 1991, p. 19. La<br />

polemica contro Marion è approfondita da Janicaud in La phénoménologie éclatée, L’Éclat, Paris 1998.<br />

331 J.-L. Marion, Dato che. Saggio per una fenomenologia della donazione, SEI, Torino 1998 (trad. di Étant<br />

donné. Essai pour une phénoménologie de la donation, PUF, Paris 1997).<br />

332 Questa conferenza fu pubblicata sul “Bulletin de littérature ecclésiastique”, 1994, 3, e poi inclusa in J.-L.<br />

Marion, Le visible et le révélé, Cerf, Paris 2005; trad. di C. Canullo, Il visib<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> rivelato, Jaca Book, M<strong>il</strong>ano<br />

2005.<br />

333 J.-L. Marion, Il visib<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> rivelato cit., pp. 81-82. Lungo la stessa direzione mi sembra si incammini Henry<br />

proponendo un modello di “fenomenologia non-intenzionale” come orizzonte futuro di pensiero per una<br />

comprensione più profonda della Vita. Scrive Henry in un testo pubblicato postumo intitolato “Phénoménologie<br />

non intentionnelle: une tâche de la ph<strong>il</strong>osophie à venir”: «Poiché l’intenzionalità non è possib<strong>il</strong>e che come vita<br />

intenzionale, essa non è uno sguardo indeterminato o indifferente, i significati che costituisce affondano le<br />

loro motivazioni profonde nella vita e ne derivano in ultima istanza. […] La fenomenologia non intenzionale<br />

non ci restituisce soltanto <strong>il</strong> mondo intelligib<strong>il</strong>e, essa ha un campo specifico, l’immenso campo della vita, per la<br />

cui esplorazione non disponiamo finora che di indicazioni frammentarie o d’intuizioni grezze, di cui le arti o<br />

altre forme di spiritualità sono state più prodighe che la f<strong>il</strong>osofia stessa. Riconoscere questo campo nella sua<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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