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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

L’ESPERIENZA IMPURA<br />

INTERVENTO DI RISPOSTA A ROBERTA DE MONTICELLI<br />

Damiano Bondi<br />

“Quale esperienza?”. La domanda che dà <strong>il</strong> titolo al nostro convegno, e alla pubblicazione<br />

degli Atti che meritevolmente ne seguono, è tanto interessante quanto paradossale: in<br />

effetti, se vi fosse davvero un’esperienza autentica, “pura”, del divino, che senso avrebbe<br />

chiedersi quale questa sia? Chiedersi quale sia non presuppone forse <strong>il</strong> ruolo essenziale di<br />

una “mediazione” f<strong>il</strong>osofico-concettuale che denoterebbe l’esperienza stessa? Ma<br />

quest’ultima, allora, sarebbe sempre (soltanto) esperienza?<br />

Tale d<strong>il</strong>emma riflette, in fondo, <strong>il</strong> dramma stesso dell’esistenza umana, tesa tra<br />

l’attestazione di una realtà e l’attesa di un senso compiuto per essa. Tra <strong>il</strong> già e <strong>il</strong> non<br />

ancora, nell’«hic et nunc su cui la nostra speranza si fonda», come ha scritto Denis de<br />

Rougemont 314 . Un fondamento, dunque, che pur nella sua natura esperienziale si connota<br />

sempre come “simbolico”, allusivo, mai “puro”, sempre disvelante e velante al tempo<br />

stesso: in definitiva, un presupposto che richiede una “speranza”, una scommessa.<br />

Ovvero una fede.<br />

Si tratta allora, come scrisse Paul Ricoeur, di «esplicitare tali presupposti, enunciarli come<br />

credenza, elaborare la credenza come scommessa e tentare di recuperare la scommessa<br />

nella comprensione» 315 . Questo, secondo me, è <strong>il</strong> compito di una f<strong>il</strong>osofia della religione,<br />

anche dell’esperienza religiosa, che si voglia intellettualmente onesta.<br />

In particolare, ritengo che un approccio f<strong>il</strong>osofico al tema dell’esperienza religiosa non<br />

possa prescindere dal riconoscimento di un proprium cristiano, che si delinea secondo due<br />

direttrici fondamentali e interrelate: da una parte l’esperienza dell’assenza di Dio dal<br />

mondo naturale e dall’universo sociale (secondo le analisi, tra gli altri, di René Girard),<br />

dall’altra quella della Sua presenza come Persona che si rivela alla persona, al singolo<br />

uomo, riconducendolo così alla sua dimensione comunitaria soltanto in quanto essere<br />

unico, libero e responsab<strong>il</strong>e dei suoi atti: in questo senso, mi sembrano preziosissimi i<br />

r<strong>il</strong>ievi di Roberta de Monticelli sul concetto di “persona” in Max Scheler, delineato in<br />

rapporto ai termini di “vocazione” e “atto di fede” 316 .<br />

314<br />

D. de Rougemont, L’Amour et l’Occident, Librairie PLON, Paris 1939, 1956², 1972³ ; trad. it. L’Amore e<br />

l’Occidente, BUR, M<strong>il</strong>ano 2006 (RCS 1977¹), p. 378.<br />

315<br />

P. Ricoeur, Finitudine e colpa, Il Mulino, Bologna 1970, p. 664.<br />

316<br />

Vedi <strong>il</strong> saggio in questo <strong>volume</strong>.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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