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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

Perfino l’obiezione tipica all’approccio della “pratica doxastica”, quella che sottolinea le<br />

differenze radicali tra la pratica della percezione degli oggetti fisici e la percezione di Dio è<br />

rivolta non di rado anche all’argomento evidenziale, per sostenere che in linea di principio<br />

non potrebbe esserci alcuna evidenza per la realtà divina a partire dall’esperienza (le<br />

dissomiglianze poste in r<strong>il</strong>ievo sono principalmente queste: la percezione sensoriale è<br />

molto comune e offre una grande quantità di informazione sul mondo; l’esperienza<br />

percettiva è sensoriale e c’è una singola pratica di percezione sensoriale; la capacità di<br />

averla poi è universale; al contrario le esperienze religiose sono relativamente rare,<br />

offrono un’informazione scarsa su Dio, non hanno un carattere sensoriale; ci sono diverse<br />

pratiche doxastiche di esperienza religiosa, ciascuna con propri criteri di veridicità, e la<br />

capacità di avere quelle esperienze appartiene a pochi; l’ateismo è una possib<strong>il</strong>ità pratica,<br />

diversamente dal solipsismo; l’esperienza religiosa infine non può essere sottoposta a<br />

controlli incrociati né confermata allo stesso modo dell’esperienza percettiva 19 ). In risposta<br />

a questa obiezione si mette in r<strong>il</strong>ievo <strong>il</strong> mancato apprezzamento della natura peculiare<br />

delle esperienze teistiche, tra cui la natura personale del loro oggetto 20 ; oppure si<br />

sottolinea che la diversità degli aspetti della realtà con cui l’esperienza religiosa si<br />

presume ci ponga in contatto, rispetto a quelli esplorati dalla percezione sensoriale,<br />

contrasta con l’idea che solo ciò che si conforma alla percezione sensoriale può rivelare<br />

qualcosa circa la realtà, essendo irragionevole assumere la pratica di identificare oggetti<br />

fisici come paradigmatica per tutta l’epistemologia (l’accusa già ricordata del ricorso allo<br />

“sciovinismo” o “imperialismo” epistemologico, o del ricorso a un doppio criterio di<br />

valutazione). D’altra parte, si mette anche in r<strong>il</strong>ievo che, mentre le differenze non<br />

comportano l’esclusione dell’applicab<strong>il</strong>ità del principio di credulità alle esperienze di Dio,<br />

tutte le somiglianze più significative fra la comune percezione sensoriale e la “percezione”<br />

di Dio sono dovute alla struttura presentazionale che hanno in comune: in entrambi i modi<br />

di esperienza, un soggetto ha la conoscenza diretta di un oggetto che si presenta alla<br />

coscienza come esistente, dotato di una serie di proprietà, l’oggetto che si presenta<br />

essendo colto come in qualche modo la causa dell’esperienza (anche se ciò non implica<br />

minimamente la riduzione di Dio a un ente fra gli enti, l’esclusione di livelli e modi di<br />

esperienza diversi, tanto meno la negazione della dimensione del mistero) 21 . Quanto poi al<br />

principio stesso di credulità, credo che abbia ragione Swinburne nel prospettare la<br />

19 Cfr. S.T. Davis, God, Reason and Theistic Proofs cit., p. 133; R.M. Gale & A.R. Pruss, “Introduction”, The<br />

Existence of God, Ashgate, Aldershot 2003, pp. XLVII-XLVIII; L.P. Pojman, “A Critique of the Argument from<br />

Religious Experience”, in Arguing About Religion, a cura di K. Timpe, Routledge, New York-London 2009, pp.<br />

179-188 (in particolare pp. 185-186); C. Franks Davis, The Evidential Force cit., pp. 67 sgg.<br />

20 J.I. Gellman, “Identifying God in Experience: On Strawson, Sounds, and God’s Space”, in Referring to God,<br />

a cura di P. Helm, Curzon, Richmond 2000, pp. 71-89 (in particolare pp. 88-89); R.D. Geivett, “The Evidential<br />

Value of Religious Experience cit.”, pp. 174-203 (in particolare p. 186). Sulle differenze fra le due pratiche, cfr.<br />

B. Sweetman, Religion, Continuum, London 2009, p. 103; J.-Y. Lacoste, La phénoménalité de Dieu. Neuf<br />

études, Cerf, Paris 2008, p. 46.<br />

21 W.P. Alston, “Mysticism and Perceptual Awareness of God cit.”, pp. 201, 218. Cfr. W.P. Alston, “God and<br />

Religious Experience cit.”, p. 69: «The best response of the mystic is to charge the critic with epistemic<br />

imperialism, subjecting the outputs of one belief-forming practice to the requirements of another»; J.I.<br />

Gellman, “Mysticism and Religious Experience cit.”, p. 157; R.D. Geivett, “The Evidential Value of Religious<br />

Experience cit.”, pp. 186-187, 197-198.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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