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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

specificamente umana e per così dire propedeutica all’atto di “grande trascendenza”<br />

compiuto nell’esperienza religiosa vera e propria – non si pone una relazione di causalità<br />

diretta tra basi neurobiologiche e configurazione/costruzione dell’esperienza religiosa<br />

stessa; come anche <strong>il</strong> riconoscere l’attivazione, durante l’esperienza religiosa, di<br />

determinate aree cerebrali e di specifiche dinamiche di funzionamento del sistema<br />

nervoso non corrisponde di per sé ad un tentativo di spiegazione del senso della religione<br />

in quanto tale: tutto ciò – se considerato nei giusti termini – consente di capire che<br />

l’esperienza religiosa non avviene in un’anima astratta e ipersensib<strong>il</strong>e, ma si realizza<br />

piuttosto come esperienza incarnata, radicata nella struttura neurobiologica dell’uomo.<br />

Tale posizione sottolinea in definitiva semplicemente che <strong>il</strong> cervello umano – per com’è<br />

fatto – non è incompatib<strong>il</strong>e con la fede religiosa, ma anzi è stato geneticamente<br />

configurato per incoraggiarla.<br />

Entro questi limiti tali studi, affermando che l’esperienza religiosa nasce dall’incontro<br />

dell’uomo con la sua vera natura, devono diventare un possib<strong>il</strong>e elemento di analisi per la<br />

f<strong>il</strong>osofia della religione, non però unico e definitivo. Essi infatti si fermano proprio di fronte<br />

a quello che è l’altro polo dell’esperienza religiosa, ovvero non dicono nulla rispetto<br />

all’oggetto che è ad essa specificamente correlato; come, del resto, spiegare i processi<br />

che sottostanno all’attivazione di specifici meccanismi neurobiologici nell’esperienza<br />

estetica consente di affermare che nel godimento estetico sono coinvolte determinati<br />

processi cerebrali, ma non dice niente circa la natura e <strong>il</strong> valore intrinseco dell’opera<br />

d’arte. Nelle neuroscienze la f<strong>il</strong>osofia della religione può trovare conferma di una<br />

propensione alla trascendenza da parte dell’uomo, non può però risolvere in minima parte<br />

quella che è la sua questione di fondo, quelli che sono gli interrogativi aperti relativi al<br />

nesso tra l’homo religiosus e <strong>il</strong> suo oggetto. In che termini è possib<strong>il</strong>e che la tensione<br />

dell’uomo religioso trovi un correlato ad essa adeguato? O addirittura: esiste davvero un<br />

oggetto intenzionale dell’atto religioso, oppure esso non è altro che una vana proiezione?<br />

Non è escluso infatti che le premesse antropologiche-neurobiologiche evidenziate in<br />

ambito neuroscientifico mostrino semplicemente che l’uomo è per così dire geneticamente<br />

e cerebralmente “ben disposto” verso un qualcosa di “<strong>il</strong>lusorio”, di “fittizio”.<br />

Per capire la ragione per cui Tolone collega queste forme di possib<strong>il</strong>e riduzionismo<br />

(considerando anche i risultati più radicali a cui giungono coloro che riconducono <strong>il</strong> senso<br />

intero della religione al sistema biologico-neuronale 137 ) all’esperienza del nulla, occorre<br />

fare un passo oltre e mettere in luce quella che è una tesi comune ai diversi autori<br />

chiamati in causa: secondo questi scienziati, l’angoscia della realtà circostante vista come<br />

imprevedib<strong>il</strong>e caos e l’ansia di fronte alla morte porterebbero l’uomo ad una sorta di stato<br />

di agitazione esistenziale e nervoso-cerebrale che parrebbe attenuarsi o placarsi – in base<br />

alle osservazioni empiriche fatte in laboratorio – solo nel momento in cui vengano attivati<br />

quei determinati processi neuropsicologici osservab<strong>il</strong>i in chi opera un affievolimento della<br />

percezione di sé, un affrancamento dalla coscienza di sé, creando una sensazione di<br />

assenza di limiti e di vuoto; in altri termini l’ansia, l’angoscia e l’agitazione “nervosa” si<br />

placherebbero proprio nei soggetti che compiono un atto di abbandono al divino nei<br />

137 M.A. Persinger, Neuropsychological Bases of God Beliefs, New York 1987.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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