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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

ESPERIENZA COME PRATICA DOXASTICA: UNA PROPOSTA PER LA<br />

FILOSOFIA DELLA RELIGIONE<br />

Marco Damonte<br />

Se con la dizione f<strong>il</strong>osofia della religione si intende una riflessione sulla fede che si avvale<br />

di un metodo f<strong>il</strong>osofico, allora <strong>il</strong> ruolo dell’esperienza assume un significato ovvio, in<br />

quanto la fede si configura proprio come l’esperienza su cui riflettere. Le Confessioni di<br />

Agostino possono essere evocate come un esempio magistrale di questo approccio,<br />

capace di condensare in sé la f<strong>il</strong>osofia antica e di fecondare quella medievale. Ma non<br />

appena si consideri la f<strong>il</strong>osofia della religione in senso stretto, quale nome di quella<br />

disciplina autonoma nata in seno alla modernità, usato per la prima volta nel 1678 da<br />

Ralph Cudworth, platonico di Cambridge, ed entrato a far parte della letteratura di lingua<br />

tedesca poco meno di un secolo dopo per opera del gesuita von Storchenau, allora le cose<br />

presentano una maggiore complessità. In questo caso l’attenzione all’esperienza ha<br />

caratterizzato la f<strong>il</strong>osofia della religione in reazione agli abusi del razionalismo teologico e<br />

alla pretesa della teologia naturale moderna di fondare e giustificare ogni credenza<br />

religiosa. Secondo lo statuto di tale teologia naturale, le dimostrazioni dell’esistenza di<br />

Dio, siano esse a priori o a posteriori, dovevano prescindere da ogni elemento religioso<br />

onde evitare tutti i problemi epistemologici e socio-politici conseguenti all’entusiasmo<br />

religioso contro cui Locke, ad esempio, scagliava i suoi strali, imputandogli la<br />

responsab<strong>il</strong>ità di fomentare le guerre di religione o, quantomeno, di generare<br />

inconcludenti discussioni destinate a sfociare nella violenza. L’esito deista di questa<br />

indagine venne successivamente stigmatizzato e gli si contrappose <strong>il</strong> valore esistenziale<br />

dell’esperienza religiosa, considerato una dimensione assoluta, autonoma e irrinunciab<strong>il</strong>e,<br />

per alcuni autori assim<strong>il</strong>ab<strong>il</strong>e ai valori etici e morali.<br />

Senza indugiare oltre in questa ricostruzione storica 46 , ritengo assodato che <strong>il</strong> ricorso<br />

all’esperienza religiosa si sia configurato come lo studio dell’atteggiamento di fede,<br />

contrapposto alla riflessione sulle proposizioni religiose. L’insistenza su questi due aspetti<br />

ha avuto <strong>il</strong> merito storico di tenere desta l’attenzione su ciascuno dei due, quando l’uno<br />

rischiava di prevalere sull’altro, ma l’aver posto tra loro un aut aut ha avuto come esito <strong>il</strong><br />

46 Cfr. N. Wolterstorff, John Locke and the Ethics of Belief, Cambridge University Press, Cambridge 1996; G.I.<br />

Mavrodes, “Enthusiasm”, Ph<strong>il</strong>osophy of Religion, 25, 1989, pp. 171-186, e N. Wolterstorff, “The Migration of<br />

the Theistic Arguments: From Natural Theology to Evidentialist Apologetics”, in Rationality, Religious Belief &<br />

MoralCommintment, a cura di R. Audi & W.J. Wainwright, Cornell University Press, Ithaca 1986.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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