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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

Quello proposto da María Zambrano è un ritorno alle origini. Il suo ricco pensiero non è né<br />

pre-f<strong>il</strong>osofico né tanto meno af<strong>il</strong>osofico, ma diversamente f<strong>il</strong>osofico. Vale a dire, esso è un<br />

pensiero f<strong>il</strong>osofico sempre fedele all’originario, un pensiero in cui mai la ragione o <strong>il</strong> capire<br />

presumono di annientare <strong>il</strong> sacro. La ragione e <strong>il</strong> capire non sopprimono o eludono la vita,<br />

ma diventano del sacro così come della vita un doc<strong>il</strong>e strumento. Una ragione finalmente<br />

in grado di auscultare la vita, di sentirla e di comprenderla come fa una madre che non<br />

disdegna mai di offrire spiegazioni, anche quelle che possono apparire le più semplici e le<br />

più banali, al proprio figlio perché quel figlio è stato partorito nella vita ed è veicolo di<br />

vita, autentico interprete del fondo sacro d’essa. È questa ragione poetico-materna,<br />

sostenuta unicamente dall’attenzione, assolutamente recettiva, che si divarica<br />

radicalmente dal regno della ragione ut<strong>il</strong>itaria-ut<strong>il</strong>itaristica che è la ragione senza più veri<br />

dèi e senza più rapporto alcuno con <strong>il</strong> sacro e con la vita. Il regno della ragione ut<strong>il</strong>itaria,<br />

discorsivo-argomentativa, ha bandito da sé <strong>il</strong> patire, ha proposto un lógos senza pathos,<br />

ha barattato <strong>il</strong> divino con una ostinata (e <strong>il</strong>lusoriamente trionfante) apatheia. La sua<br />

pretesa di comprensione onnivora, rapace, totale e totalizzante ha sconfitto <strong>il</strong> divino, ha<br />

perso <strong>il</strong> contatto con <strong>il</strong> sacro, ma ha creato altresì tutte le condizioni perché <strong>il</strong> sacro<br />

um<strong>il</strong>iato riappaia con <strong>il</strong> terrore originario. Perché niente è più rischioso, ammonisce<br />

Zambrano, del giocare con <strong>il</strong> sacro, quella pericolosa «irrinunciab<strong>il</strong>e e reiterata tendenza a<br />

banalizzarlo, a trasformarlo in qualcosa di quotidiano, in qualcosa con cui [appunto] si può<br />

giocare; e col sacro non si può giocare» 285 . L’ironia semmai, non <strong>il</strong> gioco, può<br />

accompagnare <strong>il</strong> sacro 286 , quell’ironia che avverte <strong>il</strong> nostro limite strutturale in rapporto ad<br />

esso. Che ci mette in guardia dall’<strong>il</strong>lusione di fuoruscire compiutamente dal sacro che<br />

sarebbe – pretesa assurda – voler fuoruscire da se stessi, divorziare dalla vita e<br />

abbandonare la propria Origine.<br />

285 M. Zambrano, “Il sacro in Federico García Lorca cit.”, p. 115.<br />

286 Ibid., p. 116.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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