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Vol. 1 ‐ Anno 2012 ‐ Numero 1 Quale esperienza per la f<strong>il</strong>osofia della religione? <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

o dimensioni. 1) Anzitutto è costituzione del senso, non del vero. Il senso è ciò che esplica<br />

la significazione esistentiva ovvero la riuscita esistenziale, <strong>il</strong> valore ontologico, o<br />

comunque lo vogliamo nominare, del Sé dell’individualità esistente. 2) Ma questo senso è<br />

un senso offerto, ossia proviene da un referente di trascendimento dell’esistenza umana e<br />

dell’esistenza complessiva. 3) Tale senso risulta da un evento di determinazione recettiva,<br />

ossia una determinazione che qualifica <strong>il</strong> titolare (<strong>il</strong> Sé, l’individualità) del senso e che si<br />

configura come sovra-determinazione, vale a dire come determinazione eccedente le<br />

possib<strong>il</strong>ità ontiche o ontologiche del Sé, e perciò è possib<strong>il</strong>ità essenzialmente condizionata<br />

e contingente. 4) Di conseguenza l’esperienza religiosa ha un proprio statuto dossico, che<br />

è quello del credere (del ritenere-per-vero). Esso palesemente è differente da quello<br />

esibito nella costituzione del vero, ossia dallo statuto dossico del sapere.<br />

In definitiva, se volessimo stab<strong>il</strong>ire un confronto tra l’esperienza noetico-conoscitiva (che<br />

nella nostra cultura occidentale, ossia di ascendenza greca, è per antonomasia esperienza<br />

tout court) e l’esperienza religiosa, dovremmo considerare quanto segue. 1) L’esperienza<br />

noetico-conoscitiva è costituita da tre fattori, diciamo così: da un darsi di un esserci,<br />

ovvero da una datità; da atti di formazione, i quali determinano l’apparire, la definizione<br />

dell’oggetto di conoscenza; dall’esibizione, ovvero dall’evidenza, di una concordanza tra<br />

ciò che appare come determinab<strong>il</strong>e e l’atto di determinazione. 2) L’esperienza religiosa a<br />

sua volta è costituita dai seguenti quattro fattori: da un senso offerto; dalla<br />

determinazione contingente ma globale (in questo senso assoluta) del Sé; da un<br />

riferimento anaforico, nonché da uno statuto dossico peculiare, privo cioè di evidenza,<br />

anche se non di certezza e di convinzione “assoluta”. Ciò significa che quel riferimento<br />

allude indirettamente, cioè anaforicamente, e non designa.<br />

In effetti l’esperienza religiosa presenta due tratti ulteriori, che sono caratteristici. Il primo<br />

è la rivelazione, o meglio la dispozione a accogliere una rivelazione. Il secondo è<br />

l’assolutezza del ritenere-per-vero, vale a dire del credere; questo va inteso nel senso<br />

kantiano del Glauben, non del Meinen. Quale reale è allora impegnato nell’esperienza<br />

religiosa? È <strong>il</strong> reale del senso, cioè <strong>il</strong> reale di ciò che interessa incondizionatamente ogni<br />

essere umano, perché qualifica <strong>il</strong> Sé in maniera assiologicamente ultimativa, anche se<br />

epistemologicamente trascendente, vale a dire eccedente (übergreifend). È questo che<br />

significa in ultima analisi nel quadro dell’esperienza religiosa avere a che fare con un<br />

reale.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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