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La condizione giovanile ai tempi della crisi - Irpet

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Le PMI raramente<br />

necessitano di<br />

competenze elevate<br />

e specialistiche<br />

Il lavoro qualificato<br />

è poco utile<br />

all’interno di<br />

modelli organizzativi<br />

di tipo tradizionale<br />

<strong>La</strong> propensione<br />

all’investimento e alla<br />

valorizzazione delle<br />

giovani risorse umane<br />

qualificate è<br />

limitata …<br />

Molte delle sopracitate caratteristiche sono state annoverate tra i fattori che inibiscono<br />

la domanda di lavoro qualificato da parte di alcuni testimoni qualificati<br />

(rappresentati dell’imprenditoria e delle associazioni di categoria 47 ) in una serie di<br />

interviste svolte dall’IRPET nel 2008 48 .<br />

Dalle interviste <strong>ai</strong> testimoni qualificati, si ha conferma di quanto le caratteristiche<br />

del sistema produttivo regionale sostengono una domanda di lavoro concentrata<br />

su profili con bassa scolarità. Tra questi, assume un ruolo rilevante la polverizzazione<br />

delle imprese: le piccole aziende che caratterizzano il nostro tessuto<br />

produttivo spesso non necessitano di competenze elevate e specialistiche (es. nel<br />

marketing o nel controllo di gestione) ma si orientano verso profili con competenze<br />

tecniche di livello intermedio che, caratterizzati da elevata versatilità, possano anche<br />

essere impiegati in mansioni diverse. Di conseguenza, le piccole imprese assumono<br />

pochi laureati, ricercando perlopiù diplomati e tecnici; la domanda di<br />

profili specializzati, con uno specifico percorso di studi alle spalle, proviene soprattutto<br />

dalle grandi imprese oppure da quelle di dimensioni inferiori ma che, attraverso<br />

l’integrazione verticale, hanno puntato ad allungare la filiera verso la fase<br />

finale, andando a vendere il prodotto direttamente sul mercato.<br />

Anche la vocazione manifatturiera <strong>della</strong> nostra regione contribuisce a inibire la<br />

domanda di personale ad elevata qualificazione, in quanto la dotazione di capitale<br />

umano e la propensione a investire nelle risorse umane risultano pesantemente<br />

sbilanciate verso il settore terziario (Centra e Tronti, 2011).<br />

Un altro limite del sistema produttivo regionale segnalato dagli stessi testimoni<br />

qualificati è legato alla scarsa cultura d’impresa dei molti piccoli imprenditori, ancora<br />

troppo legati a modalità tradizionali di gestione dell’azienda (spesso si tratta di<br />

un management “f<strong>ai</strong>-da-te”). <strong>La</strong> diffusa inadeguatezza delle strutture organizzative<br />

aziendali che deriva da un tale atteggiamento pesa negativamente sulla propensione<br />

ad assumere giovani qualificati, che all’interno di strutture organizzative di tipo<br />

tradizionale non riescono nemmeno a trovare un’utile collocazione.<br />

Accanto agli elementi strutturali che frenano l’investimento in capitale umano<br />

qualificato, dalle interviste emerge anche una scarsa fiducia delle imprese nelle<br />

competenze acquisite nel sistema dell’istruzione, spesso percepite troppo distanti<br />

da quanto effettivamente necessario in azienda. Emerge così che per le imprese il<br />

sapere che costituisce l’effettivo valore aggiunto dei lavoratori è quello contestuale,<br />

acquisito sul campo, più che quello codificato, che si impara sui libri. Competenze<br />

di questo tipo sono però estremamente difficili da reperire, soprattutto tra i neolaureati.<br />

Tra i testimoni qualificati intervistati si lamenta un’eccessiva astrattezza delle<br />

conoscenze trasmesse dagli Atenei, più orientate all’inserimento in grandi aziende,<br />

così poco diffuse nella realtà produttiva toscana.<br />

Si evidenzia, quindi, l’esigenza di creare profili più orientati alle piccole imprese,<br />

che permettano l’inserimento diretto in azienda, senza che si renda necessario,<br />

come invece accade quasi sempre allo stato attuale, investire in formazione interna<br />

per i neolaureati prima che questi siano effettivamente operativi. L’idea di<br />

assumere un neolaureato e investire sulla sua formazione è infatti poco gradita alla<br />

maggior parte delle piccole aziende, in Toscana come in Italia, dove la propensione<br />

delle imprese alla formazione dei dipendenti è scarsa rispetto agli altri Paesi comunitari:<br />

in Europa la quota media di imprese che erogano interventi formativi è pari<br />

al 60%, contro il 32% del nostro Paese (ISFOL, 2009). E non è solo un problema di<br />

risorse economiche, in quanto da alcune analisi emerge che, anche laddove vi siano<br />

contributi rilevanti al cofinanziamento <strong>della</strong> formazione in azienda, le imprese di<br />

piccole dimensioni stentano a esprimere anche solo i fabbisogni formativi del proprio<br />

personale (Ricci, 2011).<br />

47 In particolare, Camera di Commercio di Prato, CNA, CEDIT (Centro di formazione e orientamento al lavoro)<br />

Confartigianato, Confindustria Firenze, CGIL.<br />

48 I risultati emersi dalle interviste sono contenuti in Antoni (2008).<br />

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