Promuovere il benessere a scuola
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mento scolastico, ma anche <strong>il</strong> <strong>benessere</strong> degli insegnanti, [dei dirigenti –<br />
mia aggiunta alla citazione] e la soddisfazione degli utenti”.<br />
Cosa intendiamo per <strong>benessere</strong><br />
Per potere parlare di <strong>benessere</strong> occorre esser innanzitutto certi di comprendere<br />
di cosa ci si sta occupando: che cos’è, dunque, <strong>il</strong> <strong>benessere</strong>? La<br />
domanda è semplice, eppure ci si accorge che, entrando nei meandri dell’argomento,<br />
è diffic<strong>il</strong>e trovare una risposta esaustiva, ancor di più se ci si<br />
auspica di trovare una definizione omnicomprensiva del concetto di<br />
<strong>benessere</strong>. Spaltro (1995) ha sottolineato come la psicologia contemporanea<br />
si sia più che altro occupata della faccia opposta della medaglia ovvero<br />
del malessere e del fatto che, da ormai troppo tempo, <strong>il</strong> <strong>benessere</strong> sia<br />
considerato come l’assenza della condizione del malessere. È davvero<br />
così? Possiamo affermare che una persona che goda di un certo <strong>benessere</strong><br />
è tale solo perché non presenta una condizione di malessere? La salute è<br />
assenza di malattia? L’OMS ormai da un trentennio, parlando di promozione<br />
della salute ha ribadito <strong>il</strong> concetto di salute e di <strong>benessere</strong> nella loro<br />
dimensione positiva (Zani, B., Cicognani, E. 2000).<br />
La definizione di salute dell’OMS, «uno stato di <strong>benessere</strong> fisico, mentale<br />
e sociale e non solamente assenza di malattia o infermità», costituisce una<br />
svolta storica che permette <strong>il</strong> definitivo abbandono dell’interpretazione<br />
medicalista al <strong>benessere</strong>. Quest’ultima considerava <strong>il</strong> <strong>benessere</strong> l’opposto<br />
del disagio e si poneva dunque nella logica della mancanza, in cui <strong>il</strong> “sano”<br />
diventa «appendice del patologico» (Lavanco, G., Novara, C. 2002).<br />
Fino alla metà del Novecento per <strong>il</strong> modello medico di approccio alla<br />
salute «l’eziopatogenesi (individuazione delle cause) era <strong>il</strong> punto di arrivo<br />
e non di partenza per la cura e si inseriva all’interno del paradigma della<br />
giustificazione, dove è la malattia a spiegare gli effetti che si possono<br />
attendere dall’intervento. Dentro questo paradigma si è in grado di riconoscere<br />
la malattia, meno la persona malata, niente affatto la salute»<br />
(Lavanco, G., Novara, C. 2002: p. 79).<br />
Oggi si è oramai passati ad un modello “biopsicosociale” abbandonando<br />
definitivamente <strong>il</strong> modello “biomedico”. La concezione biologica non è<br />
però orientab<strong>il</strong>e alla prevenzione, dato che tenta di incidere sulle credenze,<br />
sui comportamenti, sugli atteggiamenti di salute facendo leva sulle<br />
capacità del soggetto (concepito come agente attivo) (op. cit.). Il modello<br />
“biopsicosociale” è invece <strong>il</strong> modello che più si presta all’idea di preven-<br />
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