ULISSE 7-8 - LietoColle
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magico in questo: flessuoso e mobile, continuamente mutevole, si concede innumerevoli licenze<br />
espressive, crea sodalizi fra le parole e germinazioni alchemiche, dove la metamorfosi è legata non tanto<br />
a un’istintualità cruda, ma ad una percezione della mutevolezza dei concetti dei quali le parole sono<br />
contenitori.<br />
E la dimensione popolare concede un dire disinibito, capace di parlare di vita e morte insieme,<br />
intrecciando in un unico tessuto i grandi amori e le grandi disgrazie e le piccole cose del fare quotidiano.<br />
Il dialetto popolare ha una visione naturale del ciclo vitale e per questo riesce ad avere quella forza<br />
universale, quella capacità di parlare a tutti, di nominare sentimenti ed emozioni per consegnarli alla<br />
collettività.<br />
Gli archetipi vengono continuamente richiamati al sentire comune tramite metafore, simbologie e<br />
costruzioni analogiche.<br />
L’invenzione è trovare qualcosa che già c’è (dal latino invenire, trovare), il gioco sta nello sguardo libero<br />
da quel raziocinio della mente che spesso porta a non vedere, a non sentire, a bloccare le emozioni.<br />
In una lingua metamorfica ci sono meno argini al pensiero, al fluire di pensieri, all’espressione delle<br />
dinamiche emotive, dei moti del cuore. In questo sta la forte fisicità del dialetto, nell’uso di una<br />
intelligenza del corpo.<br />
Il dire è antico, nella struttura biologica del corpo e nelle profondità vaste di un inconscio collettivo che ci<br />
accomuna.<br />
Il dire ha strutture archetipiche, geometrie interiori che ritornano a costruire immagini e concetti a<br />
testimonianza di una continuità nel ciclo vitale. E la costanza esige che la coscienza, per rinnovarsi, ritorni<br />
su se stessa, ritorni in sé, restituendosi all’in-conscio.<br />
E così è per la lingua. Per rigenerarsi, la parola deve ritornare al non detto, all’indicibile, mai detto o non<br />
più detto, deve riversarsi nella propria ombra e attraversarla. È la rigredo alchemica, la macerazione di<br />
quanto ha esperito ed è volto al compimento, per predisporlo a nuova vita, a nuova forma, a nuovo<br />
desiderio.<br />
E la melancolia è ricaduta del desiderio su se stesso. Etimologicamente significa bile nera e nel linguaggio<br />
alchemico è sinonimo di “materia al nero”, il piombo da trasformare in oro, la “prima materia” che si deve<br />
trasformare in luce, la parola detta in nuovo verbo.<br />
Per avere nuova forma, la lingua deve tornare su se stessa, sulle proprie ombre, e il dialetto è pieno di<br />
zone oscure, offuscate dalle nebbie dell’indicibile, legato alle venature della storia e del corpo.<br />
Soprattutto, il dialetto è lingua esperita che volge al termine, carica di tradizione, da intendersi come<br />
insieme di verità vissute e subite, di concetti e precetti tramandati.<br />
Il declino è dato da una discrasia tra concetto e idea, tra la vita e il desiderio.<br />
Il pericolo del dialetto è la caduta in una visione nostalgica di un mondo perduto, fatto di altri valori e altri<br />
concetti, ma in una inarrestabile deriva del sentimento dalla contemporaneità.<br />
L’opus alchemico richiede che si vada oltre, che si agisca sulla materia e quindi sulla parola. L’azione è<br />
alla base della trasformazione, è desiderio che torna in circolo.<br />
Nel fare è l’essenza della poesia, dal greco poiein, fare, creare. Il poeta è creatore, demiurgo di nuova<br />
forme e per questo deve mettere le mani in pasta, entrare nel denso della materia e ricomporla. Il poeta<br />
risveglia.<br />
Il poeta rifiuta i valori indotti, per condurre le coscienze ad un sentire profondo, radicato negli archetipi. Il<br />
poeta pesca nel torbido, ne trova il suono e ne fa canto così da raccontare la materia in divenire e<br />
accompagnare i sensi alla perceptio e, oltre, alla visione e al sogno, per nutrire la coscienza, per aiutare<br />
l’uomo a mantenersi in armonica relazione col cosmo.<br />
Il canto è lo sforzo/istinto dell’essere umano che cerca di sintonizzarsi al rumore di fondo, al suono<br />
primario, alla metrica universale.<br />
L’alchimista si fa cantore e segue i ritmi vitali, le geometrie frattali che narrano i profili della materia e<br />
dell’ignoto, travalica le soglie e ne torna mutato.<br />
La ricchezza del dialetto sta nell’abbondanza di soglie, nello sguardo analogico che unisce immagini e idee<br />
tramite accostamenti del simile. È questa la natura della lingua arcaica, legata ad un’osservazione<br />
costante che unisce cose lontane in forza di analogie. Il micro e il macrocosmo sono richiamati l’uno<br />
all’altro, seguendo gli ordini frattali di una geometria che non taglia il mondo con linee rette, ma ne segue<br />
la tortuosità delle curve.<br />
Non è il dialetto in sé ad avere tale prerogativa, ma il suo dire magmatico che riesce a sciogliersi per<br />
ricomporsi: solve et coagula è principio alchemico della trasformazione.<br />
Solve è sciogliere, nelle strutture interne e da legami esterni, coagula designa la composizione, la<br />
reductio ad unum. Per lo sviluppo della coscienza la lingua deve aprirsi ad un continuo mutamento,<br />
svincolarsi da forme rigide per creare schemi fluidi, non cristallizzati.<br />
Elio Talon<br />
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