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ULISSE 7-8 - LietoColle

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deviato la tradizionale opera sulla traduzione dalla lettera originaria. Il reperimento delle tendenze<br />

deformanti, a esclusivo vantaggio del “senso” e della “bella forma” delle opere, costituisce in negativo il<br />

primo canone operativo della traduttologia bermaniana (33).<br />

L’analisi delle tendenze deformanti non rappresenta un canone vincolante per il traduttore letterario, né<br />

la semplice lista degli errori da non commettere per scrivere una traduzione non etnocentrica. Berman<br />

stesso avverte che, nelle opere tradotte, le tendenze sono compresenti e rappresentano in negativo<br />

alcune devianze di base che allontanano la traduzione della lettera e danno vita a cattive traduzioni. Si<br />

può immaginare la “lettera” dell’originale come un incavo col quale viene modellato il testo tradotto; la<br />

potenziale rottura o deformazione dell’incavo rappresenta la tendenza a tradurre “a senso” – nel<br />

significato dell’uso dell’equivalenza - che allontana gli elementi estranianti della traduzione e riporta alla<br />

nazionalizzazione, all’etnocentrismo culturale etico e politico. Le tendenze deformanti sono lo strumento<br />

per indagare la traduzione attraverso una metodologia negativa. Non vuol dire che Berman proponga<br />

delle norme positive attraverso l’etica della traduzione. Sebbene sia possibile, infatti, definire dei principi<br />

normativi non metodologici, la proposizione di un’analitica positiva presuppone la definizione dello spazio<br />

della traduzione (opposto alle pratiche intertestuali) e una definizione obiettiva della purezza del prodotto<br />

traduttivo. Ciò significa che l’etica della traduzione, in fase normativa, dovrebbe dare per sottinteso il<br />

fattore comunicativo delle lingue – operazione che si attua nelle traduzioni tecniche – e,<br />

contemporaneamente, dovrebbe offrire delle aperture di senso dell’opera tradotta. In questo spazio<br />

filosofico entra in gioco la considerazione dell’obiettivo comunicativo, ma anche il fattore ricettivo. Il<br />

considerare l’opera che sta per essere pubblicata come potenzialmente leggibile dal pubblico che la<br />

riceve, determina una gabbia metodologica di stampo linguistico ed ermeneutico, nella quale il traduttore<br />

si trova in balìa della funzione traduttiva.«Emendare un’opera delle sue stranezze per facilitarne la lettura<br />

porta solo a sfigurarla e, dunque, a ingannare il lettore che si pretende servire. Occorre al contrario,<br />

come nel caso della scienza, un’educazione alla stranezza. (34)»Nell’affrontare la discussione della<br />

«comunicazione controproducente» Berman si rifà alle teorizzazioni sulla comunicazione di Giraud e a<br />

quelle, considerate metafisiche ed «iperplatoniche», del Compito del traduttore (35) benjaminiano. La<br />

comunicazione culturale sarà allora delegata alla dimensione etica del tradurre che si fonda sui termini<br />

essenziali di «fedeltà e esattezza», termini che a loro volta rimandano, sì, ad una esperienza di<br />

traduzione, ma anche ad un contegno dell’uomo di fronte al mondo, alla sua stessa esistenza e ai testi.<br />

L’atto etico, secondo la riflessione di Lévinas (36), «[…] consiste nel riconoscere e nel ricevere l’Altro in<br />

quanto Altro.» e dunque «aprire all’Estraneo il proprio spazio di lingua» animato dal presupposto<br />

desiderio di farlo (37). Nella dimensione etica la lettera assume le caratteristiche di «carnalità»<br />

linguistica, tra le quali è da segnalare l’iconicità; la fedeltà alla lettera non è più fedeltà allo “spirito” (o al<br />

senso), ma soprattutto fedeltà alle clausole che vincolano il testo alla cultura ivi espressa:<br />

Essere “fedele” a un contratto significa rispettarne le clausole, non lo “spirito” del contratto. Essere fedeli allo “spirito”<br />

di un testo è una contraddizione in termini. […] Fedeltà e esattezza si rapportano alla letteralità carnale del testo. In<br />

quanto obiettivo etico, il fine della traduzione è di accogliere nella lingua materna questa letteralità. Poiché è in essa<br />

che l’opera dispiega la sua parlanza, la sua Sprachlichkeit, e compie la sua manifestazione del mondo. (38)<br />

È nei tre saggi monografici (39), nei quali vengono analizzate le traduzioni di Hölderlin, di Chateaubriand<br />

e di Klossowski, che Berman individua i risultati di una traduzione etica e delle metodiche che più si<br />

avvicinano alle teorizzazioni appena concluse. Anzi, proprio mentre il discorso si fa pratico, emergono<br />

altre suggestioni che ricalcano le problematiche che già i linguisti avevano incontrato nelle loro<br />

supposizioni riguardo alla traduzione.<br />

All’interno di questi lavori si fanno più insistenti i richiami agli studiosi della traduzione antecedenti le<br />

speculazioni di Berman, cioè Walter Benjamin e George Steiner. La volontà di confronto con i due autori<br />

nasce da un’esigenza bivalente: da un lato sta il fatto che i saggi di Benjamin e di Steiner sono le prove<br />

più convincenti di un discorso sulla traduzione che, seppur inglobandolo, supera il metodo linguistico;<br />

dall’altro c’è la partecipazione comune di una visuale filosofica d’indagine. Tale indagine comprende e<br />

sviluppa le domande che i teorici sentivano affiorare quando, uscendo temporaneamente dal campo<br />

metodologico della linguistica e della letteratura, s’imbattevano nell’importanza della motivazione a<br />

tradurre, della funzione del traduttore, delle implicazioni etiche, sociali e politiche della traduzione stessa.<br />

Inoltre, considerati anche gli sviluppi successivi alle teorizzazioni bermaniane, grossa parte dell’attività<br />

speculativa è da ricercare nelle opere di Heidegger, Gadamer, Derrida, Quine, e Wittgenstein. La<br />

traduttologia, in quanto pensiero-della-traduzione, ricade nella sfera speculativa dell’interpretazione e<br />

dunque si sviluppa nel campo dell’ermeneutica, non partendo dalla filosofia, ma avendo in comune con<br />

quella l’esplicitazione dell’atto inerente al tradurre.<br />

Nell’ermeneutica esistono moltissimi concetti che stimolano i traduttologi; alcune volte le stesse categorie<br />

traduttologiche sono direttamente derivate da metodiche filosofiche. Lo si è visto nel recupero, da parte<br />

dei teorici, dei saggi filosofici imprescindibili alla organizzazione della materia traduttiva: l’ermeneutica di<br />

Schleiermacher ripensata nel discorso moderno, l’etica di Schleiermacher stesso e di Lévinas, le riflessioni<br />

di Gadamer e di Derrida sul problema della traduzione. Berman stesso, tuttavia, fa notare l’imperfetta<br />

coincidenza tra interpretazione e traduzione:<br />

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