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ULISSE 7-8 - LietoColle

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6. In quanto fondamento della successione delle società umane, la lingua storica acquista una forza<br />

diacronica, di vettore storico. Storia individuale: «esso sta nel più profondo della mente umana, tesoro di<br />

memorie ereditate dall’individuo». Storia del gruppo umano: «Le lingue non consentono solo di parlare o<br />

di scrivere per rappresentare, ben oltre la nostra scomparsa fisica, la nostra storia, ma la contengono»<br />

(ancora Hjelmslev).<br />

7. In quanto veicolo di confronto, di simbolizzazione di sé e dell’altro-da-sé, insomma in quanto fondativo<br />

della coscienza individuale e di gruppo, e in quanto storia in atto, la lingua coincide con la vita stessa<br />

dell’uomo: «Le lingue introducono alla vita non solo perché permettono di accedere al campo sociale, ma<br />

anche perché sono esse stesse la manifestazione della vita». Attraverso la lingua l’uomo impara a<br />

percepire se stesso nel tempo, a interpretare il mondo, ad astrarre. Come insegna l’esempio di Kaspar<br />

Hauser, «la lingua nutre colui che la parla, come l’aria che respira gli permette di vivere» (Hagège).<br />

8. La persistenza di orgoglio cosciente (o, nei casi peggiori, istintivo) in chiunque decida di investire una<br />

parte del proprio tempo nell’elaborazione di una propria lingua poetica, o nell’analisi dell’altrui lingua<br />

poetica, deriva dal fatto che essa, e in generale la lingua letteraria, nasce dal corpo del linguaggio, di cui<br />

pone in atto il radicamento storico e sociale. Nessuno, se non in malafede, potrà mai disconoscere che<br />

prima di tutto «la letteratura è una istituzione sociale che utilizza, come suo mezzo, il linguaggio, che è<br />

una creazione sociale; e sono sociali nella loro propria natura i tradizionali artifizi letterari, come il<br />

simbolismo e il metro» (Wellek-Warren).<br />

9. Ma la poesia, di tutte le componenti vive del linguaggio, coglie e assomma la sostanza. Si può anzi dire<br />

che il prestigio, paradossale o vòlto in ironia, di cui continua a godere la poesia presso coloro che ne<br />

abbiano almeno una qualche nozione scolastica, deriva dal fatto che essa è spontaneamente associata al<br />

più intimo motore del linguaggio, per così dire alla sua autosufficienza: dove per autosufficienza si<br />

intenda potenziale incrocio tra la vita diacronica di una comunità contenuta nella lingua, e l’idioletto<br />

emotivo del singolo parlante, condotto al massimo grado di distillata oggettivazione. Il tecnico Terracini<br />

non sfuggiva alla suggestione: «…l’analisi stilistica si concentra senza residue limitazioni nella<br />

considerazione della pura e libera espressione dell’individuo; questo ha dinanzi a sé anzitutto l’esigenza<br />

del suo spirito e non la preesistenza di una lingua storica che tale esigenza racchiuda come in una<br />

prigione». Frase nella quale i residui crociani valgono a porre meglio in evidenza il nesso tra diacronia<br />

condensata nella «lingua storica», che ne fa la potenza sintetica, e l’intenzione linguistica del singolo:<br />

nesso cruciale e bruciante, alla cui esplorazione per anni si è dato Zanzotto, come Giordano Bruno a<br />

quella dell’infinito.<br />

10. La poesia non è altro che ambizione di sottrarre una porzione di vita linguistica sviluppandone le<br />

caratteristiche che le permettano di essere ripetibile. Un’operazione tutta interna alla lingua, per<br />

potenziarne gli aspetti di rappresentatività vitale, e gli aspetti vitali della storicità, con l’illusione di elidere<br />

le caratteristiche di vulnerabilità insite nel tempo attraverso le manovre dello stile.<br />

II<br />

1. Riflettere sulla poesia ha sempre significato, e significa tuttora, a conti fatti, riflettere su una priorità<br />

umana. Pertanto la sua marginalità sociale di oggi, più che rendere impossibile tale riflessione, ne<br />

ispessisce la complessità: quando la lingua poetica era una funzione strutturale alla società umana,<br />

occorreva indagarne le modalità (materia per la retorica), mentre oggi che essa ha perduto questa sua<br />

centralità occorre indagarne prima la necessità, poi le modalità.<br />

2. In tempi di crisi del sistema culturale la necessità di messa a fuoco teorica si è sempre moltiplicata. Si<br />

pensi al rinascimento italiano successivo al 1494. Sebbene in quel momento il linguaggio letterario<br />

raggiunga forse il momento di più alta apertura sperimentale, paragonabile solo all’impeto novecentesco<br />

(bastino le vette assolute dell’Hypnerotomachia, del Baldus, di tutto Ruzante a dimostrarlo), vince, in un<br />

sol tratto, l’operazione severa di Bembo, retore potente e lungimirante, che con un colpo di vista e di<br />

mano avverte i segni del prossimo sfacelo culturale italico, e tenta di circuirlo mummificandone la lingua<br />

poetica, allora il principale vettore di civiltà. L’operazione che sottostà alle Prose della volgar lingua deriva<br />

da una violenta, contraddittoria intuizione: il linguaggio della poesia è più resistente quando replicabile, e<br />

dunque durevole; questa durevolezza, che è poi un principio di classicità, sfida il tempo, principale<br />

nemico delle cose umane; la lingua poetica, quando abbia una grammatica eterna, veicola in sé un<br />

principio di eternità, anche in periodo di collasso culturale. Immobilizzare (e in parte negare, a conti fatti)<br />

la lingua poetica, le permette di ergersi, in momento di crisi, a più nobile baluardo contro la crisi stessa.<br />

(Non a caso frequenti tendenze alla grammaticalizzazione della poesia, mai disgiunta da un alto<br />

sentimento di essa, attraversano la poesia moderna: si pensi al lungo periodo simbolista, a quello<br />

ermetico, ecc.).<br />

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