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ULISSE 7-8 - LietoColle

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APPUNTI SULL’ERMENEUTICA E SULL’ETICA DELLA TRADUZIONE DA SCHLEIERMACHER A<br />

BERMAN<br />

Da molto tempo che gli studiosi si sono resi conto della reciproca influenza tra il lavoro che il traduttore<br />

svolge nel traslare un’opera d’arte poetica, e quella rete di leggi inconsce e culturali alle quali il traduttore<br />

stesso è vincolato nell’operazione di lettura e di riscrittura. Coloro i quali hanno pianificato un lavoro<br />

inteso a chiarire quelle leggi, si sono trovati di fronte ad ostacoli ardui da superare, visto che era – ed è<br />

tuttora – difficile generalizzare in schemi logici e coerenti una pratica che risente in maniera<br />

incommensurabile delle componenti soggettive dell’autore originario, del lettore finale e del traduttore<br />

che è una figura di confine, liminare, partecipante ad entrambe le attività. Nell’ambito puramente teorico<br />

la volontà di schematizzazione ha sortito degli effetti validi, ma che raramente si conciliano con la diversa<br />

e variegata produzione dei versi tradotti: perciò il giudizio che un critico dà di un’opera è spesso<br />

divergente, a volte contrario, rispetto ad altri. Per questo motivo la capacità maggiore degli studiosi è<br />

stata quella di iniziare delle discussioni generali sulla base delle individualità dei traduttori e, a volte, sulla<br />

scorta delle singole opere tradotte. Lo sviluppo della teoria riguardante la traduzione è così approdata ad<br />

una estetica coerente con la poetica del traduttore o con quella espressa dalla singola opera poetica con<br />

la quale si è cercato di giudicare e ridiscutere i risultati di un processo complesso e faticoso quale è quello<br />

della traduzione poetica. Qualsiasi traduzione, infatti, non è solo un risultato testuale di un lavoro, ma è il<br />

processo stesso di trasformazione di un testo in un altro praticato da un individuo che possiede una sua<br />

cultura particolare, e nel contempo è posseduto da – fa parte di - una cultura. Il testo tradotto, oltre ad<br />

essere il risultato del processo, è anche il banco di prova sul quale il traduttore si misura e sul quale lo<br />

studioso tenta di ricercare le tappe tramite le quali il percorso traduttivo si è dipanato. In un’ottica quale<br />

quella appena descritta, è difficile tralasciare il dato soggettivo e concentrare l’attenzione su una parte del<br />

processo, poiché si escluderebbe dal campo di studio l’influenza reciproca a scapito della completezza di<br />

giudizio sul testo tradotto. Lavorare “parzialmente” su di una traduzione, o spostare l’attenzione sul dato<br />

più evidente e generale invece del dato comprendente il soggetto, è una operazione che risulta altresì<br />

impossibile quando si voglia leggere la traduzione di un poeta. In questo caso la produzione “in lingua” è<br />

tanto collegata alle traduzioni svolte, che giudicare queste ultime sorvolando sui testi originali è<br />

un’operazione che lascia aperte delle zone d’ombra nella produzione completa dell’autore stesso, e quindi<br />

inficia la completezza del giudizio che se ne possa offrire. Il lavoro traduttivo che comprenda un’analisi<br />

soggettiva del testo “originale” presume di considerare in qual modo o maniera sia intervenuta<br />

l’interpretazione del lettore-traduttore e se quell’interpretazione abbia o meno, e in che modo,<br />

condizionato il prodotto testuale finale.<br />

L’“obiezione pregiudiziale”, secondo la quale è impossibile tradurre poesia, è teorica e proprio perché tale<br />

è sconfessata dalle traduzioni di opere poetiche che si sono fatte e vanno facendosi nel corso degli anni.<br />

Il problema, infatti, è solo d’ordine linguistico; di quella linguistica che, confidando sulle teorizzazioni di<br />

Mounin e Jakobson, ha sempre considerato la traduzione come un problema di sostituzione terminologica<br />

e di equivalenza. L’impasse generato dalle forti motivazioni dei linguisti è stato superato anche nella<br />

critica e nella teoria da George Steiner nel 1975 grazie al saggio Dopo Babele. Egli ha «[…] formalizzato<br />

la prima grande ribellione internazionale ai dogmatismi della linguistica teorica […]. Perché Steiner allora<br />

sosteneva che tradurre poesia o prosa poetica non significa trasferire le parole di una lingua in quelle<br />

equivalenti d’un’altra lingua, bensì rivivere l’atto creativo che ha ispirato l’originale» (1). L’importanza del<br />

saggio steineriano sta anche nell’aver aiutato un approccio riguardante lo studio delle traduzioni da un<br />

punto di vista ermeneutico, nella consapevolezza che i veloci cambiamenti delle lingue e delle culture che<br />

ne sono espressione condizionano la lettura delle traduzioni e l’atto di lettura stesso.<br />

Quando si produce l’interpretazione, anche la più perfetta, quando la sensibilità si impadronisce dell’oggetto<br />

salvaguardandolo ed intensificandone la vita autonoma, si è davanti ad una «ripetizione originale». Si riprende, nei<br />

limiti di una coscienza straniera ma educata e momentaneamente esaltata, le tappe della creazione toccate dall’artista.<br />

Si segue, tracciata sulla carta e lungo un sentiero malagevole, l’elaborazione del poema. Esperto in materia, una<br />

specie di mimesis limitata, grazie alla quale la tavola, il testo, si trovano rinnovati secondo l’accezione riflessiva,<br />

subordinata al modello che Platone attribuisce al concetto di «imitazione». (2)<br />

L’ermeneutica tuttavia non è uno strumento moderno nello studio delle traduzioni ma un metodo che<br />

accompagna la riflessione sul tradurre fin dalle origini. Cicerone è giustamente una delle fonti citate in<br />

questo tipo di riflessione: «Ho tradotto da oratore (ut orator), non già da interprete (ut interpres) di un<br />

testo, con le espressioni stesse del pensiero, con gli stessi modi di rendere questo, con un lessico<br />

appropriato all’indole della nostra lingua.» (3) assieme a San Girolamo (Santo patrono dei traduttori) e<br />

Martin Lutero, traduttori della Bibbia. L’ermeneutica moderna indipendente dalla teologia, filone<br />

sotterraneo nell’umanesimo rinascimentale, è stata delineata durante l’Illuminismo e teorizzata da<br />

Dannhauer che considerava l’Hermeneutica generalis quale dottrina di un’interpretazione corretta e delle<br />

competenze di un esegeta esemplare. L’idea di ermeneutica di Dannhauer, in particolar modo, era quella<br />

di comprendere e chiarire l’effettiva intenzione espressiva dell’autore originale, corrotta dalla tradizione<br />

antica e dalle interpretazioni medievali dei testi classici. La necessità degli studiosi di ermeneutica era<br />

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