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ULISSE 7-8 - LietoColle

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Delle parole, anche delle più ordinarie, mi ha sempre colpito la forza. Le parole operano, hanno una<br />

potenza magica che noi occidentali abbiamo dimenticato ma nella quale non smettiamo di credere: in due<br />

di noi che banalmente discutono, la fede in questa potenza è pari a quella che poteva avere un antico<br />

sciamano, a quella che avevano Tiresia o Socrate. Nella dialettica, nella parola che argomenta, che<br />

dibatte, che vuole stringere insieme l’altro e la verità, questa potenza emerge più che altrove; io l’ho<br />

sentita molto, direi quasi fisicamente, ma ho anche sentito che un chiarimento (Chiarimenti si chiama un<br />

mio libro del ‘95), un suo dispiegamento definitivo, non è possibile. La forza del linguaggio non trionfa,<br />

ma neppure si estingue: anche nei discorsi più familiari, nelle frasi più comuni, preme sempre come un<br />

non detto, un non dichiarato, qualcosa di alto e di tremendo che fa voler dire e fa dire e intendere e<br />

rispondere.<br />

La poesia sembra avere un accesso privilegiato alla soggettività e la poesia lirica è forse la<br />

forma letteraria più soggettiva. Come intende questa relazione tra poesia e soggettività?<br />

Concorda con l’idea che l’espressione poetica sia il medium di una conoscenza personale cui<br />

altrimenti non saremmo in grado di dar forma? Pensa che la poesia, dando una forma artistica<br />

e oggettiva alla voce privata e singolare del soggetto, giochi un ruolo pubblico che non può<br />

essere sostituito da altre forme di espressione?<br />

Quando diciamo ‘soggettivo’ pensiamo a qualcosa di vago, di indimostrabile, in opposizione a ciò che si fa<br />

valere, a una realtà salda, evidente, incontrovertibile. La soggettività che la lirica mette in opera rischia<br />

sempre di cadere nell’arbitrio, in un furioso ripiegamento su ciò che solo io posso esperire. Non scriverei<br />

se non pensassi che la mia esperienza di singolo possa in qualche modo incontrarsi con l’esperienza<br />

dell’altro, con l’esperienza di tutti. La poesia – anche la più oscura e impenetrabile – si muove in questa<br />

tensione – mai risolta – tra ciò che è ‘privato e singolare’ e ciò che è ‘pubblico’. La parola poetica è la mia<br />

parola, ma non cessa mai di essere anche la parola di tutti. In un certo senso, il poeta è – in senso<br />

etimologico – un idiota, ma al fondo della sua idiozia, della sua singolarità, trova ciò che a tutti è<br />

comune: la lingua. A differenza di altre forme di espressione, la poesia è esperienza della lingua non<br />

come “strumento”, ma come orizzonte invalicabile, come destino comune.<br />

Come intende la relazione tra tradizione poetica e individualità dello scrittore? Tra strutture<br />

formali, sviluppate attraverso il tempo nel corpo della tradizione poetica, e la voce singolare,<br />

incarnata, del poeta che tenta di esprimere e universalizzare esperienze altamente<br />

individualizzate? Tra la costrizione delle norme, mediate dalla trasmissione della tradizione<br />

letteraria, e la libertà creativa del singolo?<br />

Solo un dilettante potrebbe presumere di creare la ‘sua’ poesia senza aver fatto i conti con la tradizione.<br />

Ponendo l’accento soprattutto sulla rottura col passato, sulla ‘sperimentazione’, sul nuovo, sulla “libertà<br />

creativa del singolo”, la modernità non ha fatto che rafforzarne il peso. Il rischio è quello di scrivere<br />

pensando solo a ciò che è stato scritto, per imitarlo o per negarlo, per ‘superarlo’. Si pensa che la cosa<br />

più importante sia imporsi come ‘autore’, fabbricandosi una propria originalità letteraria. I grandi ci<br />

insegnano che la vera originalità nasce non dalla mia volontà di stile, ma dalla fedeltà più umile e<br />

appassionata alle cose e alla lingua. Non ci sono forme – né vecchie né nuove – se non ci sono cose da<br />

dire, cose che davvero premono. È da loro che proviene l’impulso. La ‘libertà creativa’ non è nulla senza<br />

l’amore per le cose, per il loro ritmo, per la loro voce. È questa – credo – la vera forma, la ‘norma’ più<br />

profonda della poesia.<br />

[a cura di Italo Testa]<br />

Note.<br />

(1) Questa intervista riproduce il testo, ora ampliato con nuove questioni, di un’intervista con Umberto Fiori apparsa in<br />

“La Società degli Individui”, Numero 22, 2005/1.<br />

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