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ULISSE 7-8 - LietoColle

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iflessione oggettiva del traduttore su se stesso e della cultura su se stessa - «come Bachelard parlava di<br />

psicanalisi dello spirito scientifico» (26), e apertamente derivante dalla struttura contestuale di partenza.<br />

All’analitica dovrebbe aggiungersi un’analisi «effettuata nell’orizzonte della traduzione», che sia<br />

complementare alla critica dei testi (originari), prestando attenzione sia al processo di trasformazione del<br />

testo, sia alle trasformazioni del testo finalmente tradotto:<br />

[…] ogni testo da tradurre presenta una sistematicità propria che il movimento della traduzione incontra, affronta e<br />

rivela. In questo senso, Pound poteva dire che la traduzione è una forma sui generis di critica, nella misura in cui<br />

rende manifeste le strutture nascoste del testo. Tale sistema dell’opera è al contempo ciò che offre la maggiore<br />

resistenza alla traduzione e ciò che la rende possibile e le dà senso. (27)<br />

L’analitica della traduzione è il luogo nel quale le discipline, che i teorici volevano complementari alla<br />

letteratura comparata, si incontrano e collaborano ad una completa comprensione del testo tradotto; ma<br />

è anche il settore che indica la parlanza della traduzione e che, a sua volta, potenzia la lingua della<br />

cultura tradotta. La finalità etica del tradurre ha un risvolto psichico che tende a riconoscere la lingua<br />

straniera come strumento di denaturalizzazione della lingua materna. La finalità metafisica della<br />

traduzione, che esprime la pulsione a tradurre, invece, cerca di superare la finalità etica, stabilendo un<br />

rapporto dialogico tra lingua individuale straniera e lingua individuale propria:«Si potrebbe dire che la<br />

finalità metafisica della traduzione è la cattiva sublimazione della pulsione traducente, mentre la finalità<br />

etica ne costituisce il superamento» (28). Insieme al discorso riguardo all’apertura alle altre discipline,<br />

Berman fa emergere anche quello relativo alla «transtestualità», una pratica che ha il testo campione nel<br />

Quijote cervantesco. Presentato dall’autore come una traduzione dall’arabo - nel quale si parla di<br />

romanzi a loro volta tradotti - è un indice della coscienza culturale spagnola del tempo, ma anche<br />

l’esempio del rapporto tra letteratura e traduzioni. Non fermandosi solo a questo, e riallacciandosi alle<br />

ricerche sulle lingue e sulle culture, Berman propone la traduttologia come un campo pluridisciplinare nel<br />

quale i traduttori potranno fruttuosamente lavorare con gli scrittori, i teorici della letteratura, gli<br />

psicanalisti e i linguisti. Anche se di fondamentale importanza nel saggio che trattiamo ora, il concetto di<br />

Bildung all’interno della cultura romantica tedesca e la storia sulle traduzioni – che Berman chiama<br />

«archeologia della traduzione» - rappresentano parte di un contesto molto più ampio e complesso, cioè la<br />

riflessione della traduzione su se stessa, inseparabile dalla pratica traduttiva. Gli sviluppi successivi a<br />

questa “apertura al riflessivo” rappresentano i primi fondamenti pratici della teoria della traduzione. La<br />

coscienza che l’atto traduttivo debba essere accompagnato da una riflessione su se stesso, porta il teorico<br />

a confrontarsi con i pensatori che più avevano contribuito alla filosofia base della traduzione. Heidegger,<br />

Benjamin, Schadewalt e Rosenzweig vanno, quindi, ripensati alla luce novecentesca del rapporto tra<br />

filosofia e lingua. La questione della ri-traduzione indica un problema aperto che, sebbene appena<br />

accennato dal teorico francese, rappresenta una specificità culturale e storica della teoria traduttiva.<br />

Come dimostra il ciclico rifacimento della Bibbia, si fa fondamentale nel Novecento il ricorso<br />

all’ermeneutica moderna, perché anche il pensiero e l’interpretazione fanno parte di un moderno processo<br />

traduttivo del pensiero religioso, del pensiero filosofico, ma anche di quello che concerne le “scienze<br />

umane”.«È importante sottolineare come la traduzione, nel novecento, divenga cura del pensiero stesso<br />

nel suo sforzo di rilettura della tradizione religiosa e filosofica occidentale. Ed è in un’ottica simile che<br />

l’atto di tradurre si vede infine a poco a poco riconosciuto nella sua essenza storica» (29).<br />

L’inquadramento disciplinare della traduttologia è perfezionato nel saggio pubblicato nel 1999 da Seuil,<br />

risalente però al 1984, anno in cui Berman aveva iniziato un seminario al Collège International de<br />

Philosophie, del quale La Traduction et la lettre ou l’Auberge du lointain (30) è la rivisitazione. Durante<br />

tale seminario il problema centrale fu quello di chiarire la formula “traduzione letterale” contro la troppo<br />

utilizzata metodica della traduzione “parola per parola”. Queste metodiche si confondono quando<br />

interpretano il concetto di equivalenza. La “traduzione letterale”, infatti, non è la traduzione “parola per<br />

parola” e dunque l’equivalenza assume significati differenti a seconda del metodo utilizzato. Il saggio è<br />

incentrato su questa differenziazione: tentando di analizzare il metodo traduttivo letterale, Berman<br />

spiega cosa bisogna intendere per equivalenza, distanziando la sua dottrina dalla teoria dell’equivalenza<br />

dinamica di Nida. Il processo avviene nell’Introduzione in cui, richiamando le analisi di Valéry Larbaud e<br />

Meschonnic, l’autore esemplifica le differenze con le traduzioni dei proverbi. Una traduzione parola per<br />

parola, cioè servil, del proverbio è possibile a livello d’equivalenti funzionali –pratica che tutti i traduttori<br />

operano – a scapito della «lettera» originaria che considera il proverbio anche come forma (31).<br />

«Tuttavia, tradurre letteralmente un proverbio non è un semplice “parola per parola”. Occorre anche<br />

tradurre il ritmo, la lunghezza ( o la concisione), le eventuali allitterazioni ecc. Poiché un proverbio è una<br />

forma. […] Tale mi pare essere il lavoro sulla lettera: né calco, né (problematica) riproduzione, ma<br />

attenzione portata al gioco dei significanti» (32). L’analitica, secondo il Berman, è lo spazio pragmatico<br />

della traduzione; la riflessione, cioè, sull’esperienza storica del tradurre e sulla critica testuale dei testi<br />

tradotti, spazio nel quale è possibile discutere sulla vera tripartizione della traduzione letterale, che si<br />

contrappone all’immagine tradizionale ed etnocentrica della traduttologia, del tradurre e della traduzione.<br />

Se esiste una traduzione etnocentrica, a quella si oppone la traduzione etica, mentre la traduzione<br />

ipertestuale è contrastata da una traduzione poetica. Se esiste una lettera della traduzione, dunque,<br />

l’analitica, in quanto critica negativa, studia il sistema di deformazione dei testi e le tendenze che hanno<br />

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