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ULISSE 7-8 - LietoColle

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Linguaggi televisivi, commerciali, giornalistici, triturati poi e irradiati a pioggia per mezzo di internet e di<br />

cellulari, creano un tessuto capillare e inquinante di parole volatili, del tutto privo di pensiero, e<br />

nell’insieme orientate alla manipolazione delle intenzioni di che ne subisce i colpi.<br />

Questo regime della parola asemantica e commerciabile, che ha la funzione di sostituire per saturazione<br />

la parola critica, ha finito di esautorare la parola poetica, che invece è parola ipersemantica per<br />

eccellenza. Una parola troppo complessa come quella poetica non è gestibile dal potere, non è cioè<br />

omologabile alla totalità del sistema: perché non semplificabile, poco divulgabile, e dunque nella sostanza<br />

non commerciabile. E ciò che per definizione è fuori dal mercato, è anche non-esistente in un regime del<br />

senso in cui ogni bene, concreto od astratto, per esistere deve essere semplificabile, in funzione<br />

dell’acquisto.<br />

Eppure questo, che sembra essere il punto di debolezza della lingua poetica, è precisamente il suo punto<br />

di resistenza, anzi meglio: di forza liberamente propositiva.<br />

III<br />

1. Pound ha scritto, cogliendo in pieno la frattura di immaginario culturale e di priorità sociale coincidente<br />

con l’avvento dell’era industriale: «Quando vogliamo farci un’idea degli uomini vissuti prima del 1750,<br />

quando vogliamo accertarci che erano fatti di sangue e ossa come noi, cerchiamo la poesia del periodo».<br />

2. In effetti, dopo il 1750, tutt’altro che «sangue e ossa» possono essere cercate nella poesia. Essa è<br />

respinta fuori dall’organismo sociale. Il suo punto di vista cessa di essere interno, per quanto acuto e<br />

criticamente esercitato: la poesia al confino osserva giocoforza dal di fuori. Giocoforza, per così dire, il<br />

sentimento permanente della crisi, ovvero l’altra faccia dell’enfasi permanente del progresso,<br />

drammaticamente consustanziale all’era borghese (quella attuale più che mai inclusa), vibra nella parola<br />

poetica, ne è la fonte.<br />

3. Ha scritto (nel 1930) Gottfried Benn «che servire l’epoca o prepararle la via non può essere giammai il<br />

compito e la vocazione dell’uomo grande, del poeta; che la sua grandezza consiste piuttosto proprio nel<br />

fatto che egli non trova alcun presupposto sociale, che c’è un abisso, che egli esprime questo abisso di<br />

fronte a questa massicciata di progresso tecnico, a tipi sostanzialmente ormai del tutto incapaci di<br />

esprimersi, a psichi appiattite dall’analisi, a genitali edonizzati, fuga nella nevrosi: happy end».<br />

E la poesia, per il fatto stesso di nascere in un’epoca che la ripudia, interpreta la crisi.<br />

Bisogna uscire dall’ordine di idee che crisi sia una parola negativa. In epoca industriale crisi vuol dire<br />

asimmetria, infrazione dell’ipnosi di gruppo, percezione del dissesto che cova sotto la plastica accomodata<br />

e orizzontale della superficie. Il sentimento della crisi è il sopravvivenziale principio di vista, di<br />

discernimento, di giudizio autonomo (e krísis vuol dire proprio ‘scelta, giudizio’, da krínō ‘distinguo,<br />

giudico’).<br />

4. Oggi più che mai – più cioè che ai tempi di Leopardi, precocemente terrificato dall’ideologia delle<br />

«magnifiche sorti e progressive», e più che ai tempi di Baudelaire, non incurante del mercato e per<br />

questo lucido teorizzatore della perdita di sacramenti del poeta: oggi più che mai, in temi di dittatura<br />

ipnotica della parola debole, comunque mercantile, la poesia può garantire in sé alcune resistenze di<br />

sguardo e di pensiero.<br />

5. Il suo primo punto di forza coincide con l’esclusione dal mercato, di cui pure assai spesso i poeti si<br />

lamentano.<br />

La poesia è in perdita? La poesia è perdita? Nessun editore (calcolatrice alla mano) vorrà mai più<br />

pubblicare un libro di poesia?<br />

Ma questo è motivo oggettivo di vanto, non di frustrazione: l’inclusione continua, fisiologica nel mercato<br />

implicherebbe un continuo, fisiologico depauperamento delle risorse poetiche, ovvero un<br />

assoggettamento a crismi di produzione, ideologici di un’ideologia in tanto settaria ed efficiente, in quanto<br />

aprioristica, meccanica, mai esplicitamente formulata.<br />

(Occorrerebbe soffermarsi un giorno a tracciare la storia della stampa in questa luce. Dopo Guthemberg e<br />

prima della Controriforma il mondo tipografico dà ricetto ad ogni forma d’arte: l’Orlando furioso,<br />

capolavoro di poesia, è vero best-seller del primo Cinquecento; e non vi è grande autore, da Maurice<br />

Scève a Galeazzo di Tarsia, che non adisca alla stampa. Nessuno poteva averne paura, perché la poesia<br />

era ancora un vertice del sistema culturale. Un primo esautoramento si ha con la rivoluzione scientifica.<br />

Un secondo, decisivo, con la rivoluzione industriale. Un terzo, altrettanto decisivo, con l’organizzarsi<br />

postbellico dell’industria culturale).<br />

5. È inevitabile che l’esclusione dal mercato, cioè dall’unico luogo di visibilità pubblica e di ritualità<br />

sociale, incrementi decisamente il senso di solitudine del poeta. Ma questo sentimento di solitudine altro<br />

non è se non un suo ulteriore punto di forza.<br />

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