1. (28/10/06; 22.19) Non sta succedendo più niente, non succede niente, non è mai successo niente, da miliardi di anni non succede, nella mia testa non succede assolutamente niente, non potrà mai succedere, che sia dentro o fuori la mia testa, che sia sulla mia testa, intorno, sotto la mia testa, tra i piedi, neppure sotto i piedi succede niente, ancora niente, per un sacco di tempo non succederà niente, niente di cui si possa dire è successo, è successa una cosa, una stupidissima cosa, un b, un b piccolo, anche la metà, anche niente, per errore, fosse pure per errore, non succederà mai. 2. (28/10/06; 22.41) È passato molto tempo, da allora è passato un sacco di tempo, troppo, molto, tanto tempo, alla finestra, acqua sotto i ponti, di continuo, ricordando che passa, e pioggia, e acqua, dietro alla finestra, e vento, da allora, da quel medesimo, cosa?, giorno, gesto, attimo, mai all’opposto, che fosse all’indietro, risalendo, o fermando tutto, seduto su una sedia, e basta, nessuno che si allontani o si avvicini, e silenzio, ma già c’è stato, c’è stato anche quello, passando via, da allora, come un altro, come un’altra volta, come un fesso, a passare, da allora, è sempre così che passa, da fessi. 3. (28/10/06; 22.53) Tutto succederà ieri come se fosse successo oggi. 4. (28/10/06; 22.54) Animali, dunque scappano. 5. (28/10/06; 22.55) Uomini, dunque scappare. 6. (28/10/06; 23. 26) La piccola zona nostra, la zona cattiva, la zona morta, l’uomo nella zona, che attraversa, che si lascia alle spalle la zona, ma poi è zona, nuovamente nostra, cattiva, morta, nuovamente una piccola zona, d’ostacolo o di rifugio, dove tutto avviene, sempre in zona, sempre in piccolo, sempre morendo, morendo cattivi, a capofitto nella zona, nell’unica. 8. (29/10/06; 11.19) Bisogna assumersi le proprie responsabilità di fuga, bisogna responsabilmente saper fuggire, bisognosi sempre di nuove vie di fuga, responsabilizzando i fuggitivi alla maggior fuga, bisogna fugare i sospetti sulle proprie responsabilità fuggendo, sapendo assumere tutto il non pensato mai detto, che mai quanto si è detto è stato pensato, che mai pensando abbiamo detto, pronti a fuggire nel non detto, nell’impensato, responsabilmente, tutti, di tutto. 9. (31/10/06; 10.50) Ancora solo, ancora un piccolo sforzo e più solo, meglio, in solitario, più concentrato e attento, lasciando alle spalle, con sforzi quasi leggeri, insensibili, è facile, insensato, avviene velocemente, di nuovo più solo, meglio, in solitario, completando, ancora perfezionabile, lasciando alle spalle, con facile ancora piccolo sforzo, più fermo, più lento, isolato, ma anche insopportabilmente abbandonato, a piccoli strappi costanti, di giorno e di notte, vigilando, questo abbandono, per essere poi lì, da qualche parte, a riceverlo, come un grave, liberatorio malanno, magari fermo allo specchio, su di un libro, ai vetri, per vedere quello che passa, per cercare di vedere quello che passa come passa, per non ascoltare, per parlare meno, sempre meno, per abbandonare, per abbandonare anche l’abbandonato, e non basta, non ti ammali mai fino in fondo, puoi ancora parlare, e ascoltare, tutto che ti traversa ancora, tutto di nuovo, perché non c’è altro, in piedi, non c’è che questo, al bancone del bar, qualcuno ti chiede l’ora, rispondi, ricomincia. 12. (13/11/06; 16.39) È organizzato questo ritiro, abbastanza ben organizzato, a concessioni graduali o violente, le vie ritrovate, riattraversate fino all’ultima risalita, passando vagamente lo sguardo, e ritraendolo, da quanto si lascia fuori, remoto, tutto quanto poi cresce, dalle finestre, o dietro le pareti, le porte, fin dalle 134
fondamenta, rigoglioso, mugghiando, ai lati, con bagliori, colpi d’ala, o sotto, in scivolamenti, frane soffocate, e davanti, con sfida, è così, il piano di ripiegamento, dolcemente, e nient’altro da dire, pochissimo forse, un dire ultimo, prima del ritiro completo, già molto ritraendosi, andando all’indietro, verso la sedia o il divano, o nelle braccia di lei, se si andasse, retrocedendo, soprattutto nelle braccia, a cercare le labbra, e poi bloccati, tra braccia e labbra, con la lingua che ancora si muove dentro l’altra bocca, ma non c’è uscita, non c’è affatto possibilità di uscire, ora che, dentro, fermi, nelle nostre carni, rimaste, dopo il ritiro. 13. (15/11/06; 18.19) Non ci penso per ora alla fine del mondo, non ne parlerò adesso, non subito, che comunque avverrà, anzi avviene, ma remotissima, con schianti violenti su certi fondali, o il millimetro, quel millimetro di più o di meno, d’acqua, o ghiaccio, o anidride, o qualsiasi cosa, che cambia tutto, azzera infallibilmente superfici boscose, polverizza centinaia di sistemi nervosi, annienta occhi, ali, larve, o come il godimento della luce, se venisse meno il godimento della luce, di quando entra di traverso, a ondate ininterrotte, la mattina, anche dalla finestra quadrata e piccola del bagno, posta in alto, impossibile ad aprirsi, sempre azzurra, senza tetti o antenne, la fine del mondo, se mancasse quella distensione dei muscoli, quel perdere di massa delle parole, tutto pacatamente nello sguardo, come animali forse, quando la luce, o il cielo di mattina, se poi la fine, la fine che non risparmia, quella equanime, incessante, di tutti i crolli e gli sprofondi, ma non ci penso, forzatamente, facilmente non ci penso, anche se è già qui, lambisce la punta delle scarpe, la si vede persino girando l’angolo, là, oltre i binari morti, nel capannone fatiscente, la fine, tra i rimorchi, qualcosa, che non indietreggia, anzi viene, soprattutto di sera, sotto il raggio dei neon, qualcosa si avverte, presagi pittorici, ma non ora, devo pensare a te, a come sei, che a forza di vederti ieri e oggi mi confondo, non ricordo le cose che dici, non tutte, quelle più di fretta, di lato, quasi a bassa voce, quando entri in cucina, devo ricordarle, ripeterle, con chiarezza, prima della fine del mondo, adesso. 15. (19/11/06; 2.07) Dobbiamo pensarci, non dobbiamo sottovalutare, anche redigere, portare di lato e avanti argomenti, non troppi, non troppo sottili, è anche urgente farlo, in tanti, col dovuto consenso, ma unanimi, utilizzando brutti ricordi, sensazioni sgradevoli, e in conclusione, così appare, nell’evidenza, nell’abbagliante evidenza, non differibile, anche questa guerra, questa nuova guerra, assolutamente da fare, ma pensiamola, stavolta con la massima riflessione, da più parti, anche trovandoci sui pianerottoli, come muovere guerra, ma precisi, a filo, senza sbavature, chiazze, residui inquinanti, una guerra che tagli, che tolga fiato al nemico, lo isoli, che sappia trovare un nemico assiduo, e premerlo, e punire, anche questo, i nemici, poi, hanno oscuro destino, ma molto sotto, al di sotto del visibile, nel non documentato, è per necessità, mai improvvisata, o approssimativa, i dettagli, ne bastano pochi, il nemico, ne basta uno, poi si chiarirà meglio, ma conta l’anticipo, la velocità dell’impatto, anche stavolta, sempre anticipare, con guerre, migliorare, allargare. 16. (26/11/06; 12.30) Limitatamente alle concezioni dominanti, alla mia concezione se fosse dominante, al dominio che ho sulle mie concezioni, alla cognizione che ho del mio dominio, limitato, e limitatamente a questo, o alle questioni oscure, come il potere e i suoi pori, o le operazioni del potere, o il transito, di tutti, in un punto del potere, il punto senza dimensione del potere, e il dominio che il potere esercita sulla concezione, e il concepimento per gradi, scale, velocità scostanti, che il potere ha dei concepiti, limitatamente a questo, allo sfuggire di questo, all’ipotesi o al sogno di questo, all’indizio magro o macabro, limitatamente all’odio concesso e distribuito, al motivo annesso all’odio, all’esercizio dell’odiare nei limiti dell’odiabile, mi chiedo per quale spazio, idea, faglia, si limiterà a passare, in senso inverso, o del tutto altrove, o diffuso, l’amore, quell’amore non concepito, inordinato, che non domina, non tiene, non ha netta concezione, e scorre, nei limiti, e li annulla. (da “Le circostanze della frase”, inedito) Notizia. Andrea Inglese è nato a Torino nel 1967. Vive e lavora a Parigi. Insegna attualmente letteratura e lingua italiana presso l’Università di Paris III. Ha pubblicato un saggio di teoria del romanzo dal titolo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo per le edizioni del Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate di Cassino (2003). Assieme a Chiara Montini ha curato il numero monografico della rivista “Testo a fronte” dedicato a Samuel Beckett (n° 35). 135
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