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ULISSE 7-8 - LietoColle

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poems emergono come il risultato di una chirurgia invasiva operata su corpi pre-straziati» e su voci che –<br />

attraverso il “medium” Google – «sono già state co-optate o dis-optate molte volte in conseguenza del loro<br />

inserimento nel grande catalogo casuale di Internet», e che opera «provoca[ndo], pungola[ndo] ed<br />

incita[ndo] all’esistenza» un testo.<br />

“Propositi per una decadenza” sposta il fuoco su varie ed altre vive questioni. È «quasi vanitas chiedersi<br />

quale sarà (o dovrebbe essere oggi) la lingua della poesia, ed è ovvio che non deve assumere – come<br />

accade – il ruolo di una conservazione illusoria (e: illusoriamente piccoloborghese, piccolocattolica, ecc.<br />

[…])»; «rispetto alle […] polarizzazioni sterilizzate dal cambiamento oggettivo del mondo» dovrebbero<br />

esserci «altre vie»: «qualcosa che si install[i], pietrificandosi e riconoscendo, nello stesso tempo, la propria<br />

deperibilità». «La comunità poetica italiana[, invece,] continua ad agire come se avessero senso e dignità<br />

cose diverse dai corpi e dal tempo (i corpi sono i veri parlanti, e il tempo è tempo anche per le lingue, oltre<br />

che per i corpi). Eppure: ora la poesia non deve trasformarsi ex abrupto, per senso di colpa, in un registro<br />

pedissequo dell’invecchiamento, della sostituzione etnica e della sopravvivenza del vecchio nel nuovo;<br />

mentre il suo corpo, non degradabile, ha il dovere della mediazione e dell’indipendenza». Infatti, oggi, la<br />

«maggior parte del suo lavoro» dovrebbe consistere nel «non scendere a patti con chi vuole coinvolgerla in<br />

dualismi che si riveleranno, non troppo tardi, mortali e vani: come chi li ha fomentati, confondendo uno<br />

struggle for life più che provinciale con un’esigenza artistica. Così il gioco del massacro tramonterà, senza<br />

troppi lamenti: perché la sua fine sarà contemporanea a quella dei suoi parlanti». Il testo è di Massimo<br />

Sannelli.<br />

Nel suo contributo Luigi Severi considera la marginalità di collocazione della lingua poetica in un contesto<br />

comunicativo popolato di lingue (giornalistica, pubblicitaria, telematica, ecc.), debolmente significanti ma<br />

potentemente pervasive e manipolative. Da questo sistema della parola a-semantica è inevitabile che la<br />

lingua della poesia sia messa al bando. La sua parola è pericolosa, infatti, in quanto non assimilabile dal<br />

mercato, poiché dotata di senso: in essa è insopprimibile la diacronia, affidando/affondando essa le radici<br />

nella propria tradizione, ma anche della lingua storica. La poesia è, per Severi, violazione del non-senso<br />

contemporaneo, e punto di vista esterno al sistema. Il che sarebbe tanto più vero, quando la sua lingua è<br />

sperimentale, di modalità accumulativa, cioè iper-rappresentativa. Esemplare, secondo l’autore, resta la<br />

strategia poundiana, che condurrebbe, per unica strada, a Tony Harrison. Per mezzo di mescidazione e di<br />

giustapposizione la lingua poetica arriva ad essere somma di rappresentazioni, e storia in atto.<br />

Formalizzando gli scoppianti materiali esogeni, essa ricostruirebbe un senso, lo reinventerebbe,<br />

riconducendo, contro la stasi attivistica e mercantile della realtà, a un principio di pensiero.<br />

Apre l’indagine su “Teoria e pratica della traduzione” Franco Buffoni, con il suo saggio “Traduttologia come<br />

scienza e traduzione come genere letterario”. Nodo, qui, è il “come” del «riprodurre lo stile»: poiché «la<br />

traduzione letteraria non può ridursi concettualmente a una operazione di riproduzione di un testo; essa<br />

dovrebbe piuttosto essere considerata come un processo, che vede muoversi nel tempo e – possibilmente<br />

– fiorire e rifiorire, non “originale” e “copia”, ma due testi forniti entrambi di dignità artistica». Nel fare del<br />

traduttore, solitamente, il «testo cosiddetto di partenza» è sempre «considerato come un monumento<br />

immobile nel tempo, marmoreo, inossidabile. Eppure anch’esso è in movimento nel tempo, perché in<br />

movimento nel tempo sono – semanticamente – le parole di cui è composto; in costante mutamento sono<br />

le strutture sintattiche e grammaticali, e così via». L’opera è sempre in «trasformazione o, per l'appunto, in<br />

movimento nel tempo». Vitale – ci dice con Friedmar Apel – è il «concetto di “movimento” del linguaggio»,<br />

e che deve essere messo al centro, per «togliere ogni rigidità all'atto traduttivo» e «guardare nelle<br />

profondità della lingua cosiddetta di partenza prima di accingersi a tradurre un testo letterario, idea [che è]<br />

comunemente accettata per la cosiddetta lingua di arrivo».<br />

Il secondo intervento è di Martha Canfield (con, anche, sue versioni di Sergio Badilla, Yves Prié, Jorge<br />

Arturo, Rami Saari, Eloy Santos, Samer Darwich, Yasuhiro Yotsumoto e Philip Meersman), che, attenta<br />

nell’indagare le dinamiche e i comportamenti del cambiamento avvenuti nel/dal Novecento, nota come la<br />

globalizzazione ha fatto sì che il «poeta del terzo millennio» possa «viaggia[re], legge[re] in molte lingue,<br />

conosce[re] e stabili[re] rapporti molto più facilmente di una volta con persone di altre nazioni e dai<br />

costumi molto diversi». E, così, «l'orizzonte personale si allarga, amore e amicizia diventano possibili al di là<br />

delle frontiere e delle consuetudini, i pregiudizi vengono messi in crisi dalla familiarità con il diverso».<br />

Propone, poi, una rassegna antologica di otto poeti provenienti da otto nazioni diverse che hanno fatto di<br />

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