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diario di bordo - Comune di Capurso

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DIARIO DI BORDO – 1 SEMESTRE 2009- LA LEGALITA’ E LA<br />

SICUREZZA IN PROVINCIA DI BARI<br />

giornata del 18 maggio, non solo <strong>di</strong> risalire agli autori del ferimento, ma anche <strong>di</strong> comprenderne i<br />

motivi.<br />

Il <strong>di</strong>ciannovenne collabora, anche se in modo molto saltuario, nell‟officina <strong>di</strong> un meccanico. E‟<br />

anche lui un meccanico, nonostante ufficialmente risultasse <strong>di</strong>soccupato. Ebbene, Mongelli era nelle<br />

imme<strong>di</strong>ate vicinanze dell‟ingresso dell‟officina quando vide arrivare a tutta velocità uno scooter <strong>di</strong><br />

grossa cilindrata. In sella erano in due, il volto coperto da un casco integrale. L‟azione degli<br />

aggressori non lasciò all‟uomo neanche la possibilità <strong>di</strong> capire quanto stesse per accadere. Il<br />

passeggero dello scooter estrasse la pistola e sparò alla gamba del pregiu<strong>di</strong>cato, quin<strong>di</strong> – ad azione<br />

compiuta – si <strong>di</strong>leguava con il complice facendo perdere le tracce. Mongelli non si accorse subito <strong>di</strong><br />

essere stato ferito alla gamba. Lo scoprì con qualche secondo <strong>di</strong> ritardo quando, guardandosi i<br />

pantaloni li scoprì sporchi <strong>di</strong> sangue. Nessuno dei presenti – non molte persone per la verità – riferì<br />

<strong>di</strong> aver visto o sentito nulla. Omertà, probabilmente, ma anche abilità <strong>di</strong> chi ha compiuto l‟agguato<br />

nel chiudere l‟azione in una manciata <strong>di</strong> secon<strong>di</strong>. Quando la vittima si accorse <strong>di</strong> essere ferito<br />

s‟avviò verso la caserma dei carabinieri, che come abbiamo detto, è nei pressi. L‟intento, <strong>di</strong>chiarò il<br />

Mongelli, era <strong>di</strong> raccontare imme<strong>di</strong>atamente alle forze dell‟or<strong>di</strong>ne l‟accaduto. Poco prima <strong>di</strong><br />

raggiungere l‟ingresso della caserma incontrò un carabiniere, in servizio proprio in quella caserma.<br />

Il militare, accortosi delle con<strong>di</strong>zioni del giovane, prestò le prime cure, quin<strong>di</strong> chiamò l‟ambulanza<br />

per i soccorsi. Le indagini scattarono imme<strong>di</strong>atamente, partendo ovviamente dalle <strong>di</strong>chiarazioni<br />

della vittima, che però <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> non essersi accorto <strong>di</strong> nulla, se non d‟essere ferito, <strong>di</strong> non aver visto<br />

gli aggressori, né <strong>di</strong> conoscere i motivi dell‟agguato.<br />

I militari prestarono fede alla prima delle sue <strong>di</strong>chiarazioni. I motivi del ferimento avrebbero potuto<br />

trovare origine nel suo passato (certificato) <strong>di</strong> piccolo spacciatore, per avere magari pestato i pie<strong>di</strong> a<br />

chi della droga faceva un solido business. Un avvertimento insomma. I proiettili, quando il<br />

messaggio non è recepito, colpiscono in genere più in alto.<br />

*Da tentato omici<strong>di</strong>o ad omici<strong>di</strong>o – Sette, almeno, furono i colpi <strong>di</strong> pistola che, poco dopo le<br />

10,30 del 25 maggio, echeggiarono nella popolosa zona 167 <strong>di</strong> Canosa <strong>di</strong> Puglia, <strong>di</strong>nanzi ad un bar<br />

che, senza volerlo, si trasformò nello scenario <strong>di</strong> un grave fatto <strong>di</strong> sangue. A rimanere per terra, in<br />

una pozza <strong>di</strong> sangue sull‟asfalto davanti al porticato fu il 30enne Massimo Catano, una vecchia<br />

conoscenza delle forze dell‟or<strong>di</strong>ne, crivellato da più colpi <strong>di</strong> pistola calibro 7,65 che lo ferirono<br />

gravemente al torace, alla testa e al collo. A sparare sicuramente con l‟intento <strong>di</strong> ucciderlo fu il<br />

34enne Giuseppe Di Bitetto che, una manciata <strong>di</strong> minuti dopo il brutale ferimento, fu fermato a non<br />

molta <strong>di</strong>stanza dal luogo della sparatoria. Nel vano portaoggetti della sua auto l‟uomo aveva la<br />

pistola ancora calda. Di Bitetto fu accusato <strong>di</strong> tentato omici<strong>di</strong>o.<br />

Piantonato nel reparto <strong>di</strong> neurochirurgia dell‟ospedale „Bonomo‟ <strong>di</strong> Andria, dove fu ricoverato, fu<br />

anche Massimo Catano, accusato dagli investigatori <strong>di</strong> porto abusivo <strong>di</strong> arma da fuoco. Fu accertato<br />

che Giuseppe Di Bitetto era in compagnia del 41enne Nunzio Catano (fratello della vittima) quando<br />

all‟improvviso si trovarono <strong>di</strong>nanzi Massimo che, secondo una prima ricostruzione dei fatti, li<br />

avrebbe aggre<strong>di</strong>ti con violenza, scagliandosi contro con calci e pugni. Durante la colluttazione, Di<br />

Bitetto si sarebbe impossessato della pistola calibro 7,65 che Massimo maneggiava e che sarebbe<br />

caduta nel frattempo sull‟asfalto. Già all‟indomani questa versione fu smentita sia dalla sorella della<br />

vittima che da un altro testimone oculare. Il giovane canosino, a causa <strong>di</strong> corpi estranei presenti nel<br />

suo corpo (un proiettile entrò nel suo cranio) fu tenuto in coma farmacologico e le sue con<strong>di</strong>zioni si<br />

aggravarono col sopraggiungere <strong>di</strong> un‟alta febbre. Finché la mattina del 19 giugno morì. Di<br />

conseguenza l‟accusa contro il Di Bitetto mutò da tentato omici<strong>di</strong>o in omici<strong>di</strong>o. In base agli<br />

accertamenti il pm avrebbe deciso se rubricare l‟omici<strong>di</strong>o come volontario o preme<strong>di</strong>tato. Il punto<br />

cruciale degli accertamenti ruotava su chi detenesse la pistola. In alcuni ambienti canosini si<br />

propendeva per il feritore, circostanza nota da tempo. Al contrario, Di Bitetto durante

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