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Sebastiano Tusa - Regione Siciliana

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vette essere tranquilla fino al I secolo, poiché<br />

le fonti ce ne parlano sempre come di<br />

un’isola in perenne stato di fortificazione<br />

per contrastare eventuali mire di rivalsa<br />

cartaginese.<br />

Dal I secolo in poi l’isola visse probabilmente<br />

il suo periodo migliore, venendo<br />

meno i pericoli di invasione in seguito al<br />

rafforzamento del dominio romano sul<br />

Mediterraneo. Tale situazione dovette durare<br />

fino alla fine dell’impero, quando le<br />

invasioni vandaliche prima, bizantine dopo<br />

e arabe infine, determinarono periodi<br />

di crisi e, forse anche, di abbandono di<br />

Pantelleria, a giudicare da quanto talune<br />

fonti ci riportano.<br />

Un’isola come Pantelleria non poteva<br />

non riservare sorprese e grandi potenzialità<br />

scientifiche anche nel mare che la circonda.<br />

L’archeologia subacquea costituisce,<br />

pertanto, un campo di ricerca altrettanto<br />

fruttuoso e interessante, ma soprattutto<br />

indispensabile per comprendere la<br />

storia e la cultura dell’isola come quello<br />

che si espleta nelle contrade di terra.<br />

La corposa collezione anforacea si è costituita<br />

soprattutto in seguito ai tanti sequestri<br />

effettuati nel corso degli ultimi decenni<br />

dalle forze dell’ordine che, nel tentativo<br />

di arginare un’emorragia immensa di<br />

reperti che venivano trafugati illegalmente<br />

dai fondali panteschi, riuscivano con<br />

grande zelo e assiduità a cogliere con “le<br />

mani nel sacco” chi avrebbe dovuto segnalare<br />

le scoperte piuttosto che gestirle<br />

in proprio! Si tratta, pertanto, di reperti<br />

dei quali talvolta si conosce la zona di rinvenimento,<br />

ma null’altro di contestuale.<br />

La gran massa di materiali proviene da<br />

quella vera e propria “miniera” di anfore<br />

che è la zona di Gadir, dove molteplici vascelli<br />

lasciarono cospicue tracce del loro<br />

naufragio. Del resto era quella la principale<br />

zona di ancoraggio per un lungo periodo<br />

della storia di Pantelleria, essendo<br />

dotata di buono e riparato approdo, nonché<br />

di acqua dolce.<br />

<strong>Sebastiano</strong> <strong>Tusa</strong><br />

A Pantelleria soltanto di recente si è iniziato<br />

un lavoro di capillare documentazione,<br />

ricognizione e scavo delle molteplici<br />

testimonianze archeologiche subacquee.<br />

Uno dei punti nevralgici di questo rinnovato<br />

interesse è stato, ovviamente, il sito<br />

di Gadir dove, in collaborazione con il<br />

Nucleo Sommozzatori di Messina e il Nucleo<br />

Tutela Patrimonio Artistico dell’Arma<br />

dei Carabinieri, nonché con il fondamentale<br />

aiuto di Marco Chioffi e di Marenostrum<br />

d’Archeoclub d’Italia, si sono<br />

effettuate dal 1998 diverse campagne di<br />

ricognizione, sia con immersioni tradizionali<br />

che con ispezioni a mezzo del veicolo<br />

filoguidato “Pluto”.<br />

Gli esiti delle ricognizioni con “Pluto” sono<br />

stati positivi poiché si è constatata la<br />

presenza di materiale anforaceo integro<br />

anche al di sotto della normale profondità<br />

raggiunta dai subacquei in più punti<br />

della Cala di Gadir e anche nelle aree limitrofe.<br />

Le anfore individuate attraverso<br />

le immagini video comprendono una vasta<br />

gamma tipologica (soprattutto Maña<br />

C 1, Maña C 2 , greco-italiche, Dressel 1<br />

A 1, 1 A 2, 1 B, 1 C, 2, 4, 18).<br />

Quanto verificato sia con l’immersione<br />

che con la ricognizione strumentale ci<br />

Pantelleria. Gadir.<br />

Anfore.<br />

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