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<strong>Journal</strong> <strong>of</strong> <strong>Italian</strong> <strong>Translation</strong><br />

IL CAPANNONE<br />

È un capannone aperto da tre lati, quasi in riva al lago. La<br />

pietra rossastra, tagliata da linee curve, forma volte sormontate<br />

da fregi color mattone. Ancora umide della pioggia notturna,<br />

le erbacce tutt’attorno sono cresciute a dismisura scavalcando il<br />

cancello e fili di verde misti a papaveri cacciano fuori il capo dalla<br />

grata protendendosi verso i corpi dei ciclisti che sfrecciano veloci<br />

per la discesa con bruschi stridori di freni.<br />

Che resta su una coscia sfiorata? Forse un segno come quello<br />

di un graffio di spine, o uno strato sottile di polline, invisibile, se<br />

non alle antenne delle api che vagano basse tra i rovi.<br />

L’interno è un ammasso di masserizie: calce, cumuli di cemento<br />

e sacchi sventrati dalle scritte illeggibili, tra i quali vagano,<br />

a strappi, lucertole curiose degli anfratti dei mattoni da cui sbucano<br />

all’improvviso agitando il capino in avanscoperta, prima di<br />

ripiegare verso un cumulo di filo di ferro che la ruggine ha reso<br />

simile a un roseto.<br />

Laggiù, dietro i cellophane che ricoprono l’impiantito, un<br />

riflesso di luce disegna sulla parete un’ombra vibratile come un<br />

batter di ciglia: è una fronda del platano d’un tratto scossa da un<br />

refolo di vento che porta dal lago nubi minacciose sulla capanna<br />

del custode intento a rabberciare i buchi fatti l’altra notte dalla<br />

volpe a caccia di galline.<br />

SIAMO UCCISI<br />

Piove da giorni. La penna si era fermata in viaggi dove scrivere<br />

era stato parlarne con altri che lo fanno, un’altra cosa. Poi ieri notte<br />

quel film sul mistero del mostro di Loch Ness, il palombaro con il<br />

fanale sulla testa disceso nel buio degli abissi tagliato da improvvisi<br />

colpi di coda del serpentone orripilante in fuga tra i flutti e lei che<br />

dallo studio, in collegamento audio, dice ansiosa con una smorfia<br />

di panico velata di sudore sotto il biondo della frangetta: «Amore,<br />

ti prego, lascia perdere, torna a casa…»<br />

Ho spento, troppi marchingegni.<br />

Meglio leggere su «Le Monde des Livres» del 23 maggio Nous<br />

sommes tués - il ne faut pas le dire di Hélène Cixous quando parla<br />

del «Livre-que-je-n’écris-pas» come dell’assente di ogni intrapresa<br />

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