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qui - Porphyra

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“Bisanzio e le Crociate, incontro e scontro tra Oriente e Occidente”<br />

Atti del convegno, Venezia, 10 e 11 dicembre 2011<br />

<strong>Porphyra</strong>, anno IX, n. 17<br />

Due toponimi “bizantini” in Italia: una verifica<br />

di Giovanni Roman<br />

L’interpretazione semantica di un nome di luogo costituisce sempre<br />

un’operazione complessa poiché richiede, oltre alle necessarie competenze<br />

linguistiche e filologiche, anche un’approfondita conoscenza dei luoghi che<br />

si vogliono indagare e dei fatti ivi accaduti nel tempo. In ogni caso il punto<br />

di vista del ricercatore, soprattutto se in contrasto con quanto codificato<br />

dalla scienza linguistica, deve essere sempre coerente con la norma fonetica.<br />

Capita, infatti, che nomi di luogo dal significato in apparenza trasparente,<br />

siano invece portatori di semantica “opacizzata” riconducibile, cioè, a<br />

sostrati o superstrati linguistici storicamente attestati, ma non riconosciuti<br />

come tali in sede d’indagine etimologica. Ho giudicato opportuna una<br />

riflessione in tal senso, di fronte a due tipologie toponimiche diffuse fin dal<br />

medioevo sul territorio italiano: Purgo e Cantarana. Le ricerche finora<br />

condotte su questi due toponimi, ubicati in differenti contesti territoriali,<br />

hanno finora fornito chiavi di lettura non univoche, a riprova di<br />

un’ermeneutica complessa.<br />

Purgo e derivati vengono convenzionalmente fatti risalire a varie attività di<br />

eliminazione delle impurità dalla lana, svolte in siti specifici. Se i nomi di<br />

luogo portatori di questa semantica sembrerebbero dunque numerosi è<br />

opportuno evidenziare quali potrebbero essere state in passato le<br />

caratteristiche comuni dei siti destinati alla suddetta attività. La purgatura,<br />

infatti, necessita di alcune materie prime che devono essere reperite in situ,<br />

per ovvie ragioni di economia e praticità. In primis l’acqua che, oltre a<br />

facilitare anche altre fasi della lavorazione (lavaggio e tintura), a partire dal<br />

medioevo inoltrato rappresentava una fonte di energia per alimentare le<br />

macchine tessili (gualchiere). Poi, la disponibilità di legname da usare - oltre<br />

che come combustibile nelle fasi di tintura - nella preparazione di alcune<br />

sostanze come il “ranno”, cioè la liscivia, usata proprio per la purgatura.<br />

Ancora, la reperibilità della “terra da purgo”, cioè un tipo di argilla dalle<br />

proprietà detergenti.<br />

Nella città di Venezia il particolare contesto ambientale rese assai più<br />

difficile il reperimento di un sito con le caratteristiche sopra elencate. Se la<br />

metropoli lagunare non poteva rinunciare ad un’importante attività, è<br />

altrettanto chiaro che le materie prime necessarie dovevano essere reperite<br />

altrove, ma questo impedimento ambientale, tuttavia, non impedì lo<br />

svolgimento delle attività di lavorazione laniera. In città il toponimo,<br />

documentato a partire dal medioevo 339 , rimane ancora nel consueto<br />

“lenzuolo” 340 ,). Infatti, venne così chiamato per secoli un luogo ubicato nei<br />

pressi della chiesa di Santa Croce, “in volta de canal” 341 . Lì si trovava un<br />

fullonicum vicino alla sbiancheria presente nel catasto napoleonico d'inizio<br />

ottocento, dove un gran numero di artigiani lavorava la lana durante le fasi<br />

339 A Venezia detti nizioleti (lenzuolini), cioè le caratteristiche iscrizioni toponomastiche nere dipinte su sfondo bianco.<br />

Cfr. http://www.veneziamuseo.it/TERRA/Santa_Croce/Crose/crose_purgo.htm.<br />

340 Al giorno d’oggi rimane l’indicazione “Fondamenta del Purgo”<br />

341 DORIGO W., Venezia Origini, Milano 1983, I, pp. 264-268.<br />

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