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“Venezia e Bisanzio, incontro e scontro tra Oriente ed Occidente”<br />
Atti del convegno tenutosi a Venezia, 10-11 dicembre 2011<br />
<strong>Porphyra</strong>, giugno 2012, n. XVII<br />
affidato all’imperatore ed in un ossimoro “concettuale” alla luce delle<br />
contestuali e “malandate” condizioni socio-economiche del tempo.<br />
Questa sorta di welfare state posto in essere ab antiquo, che,<br />
assecondando una sagace espressione del Gotofredo, è possibile definire<br />
latu sensu: lex humanissima, evidenziava, ictu oculi, una precisa<br />
“coscienza sociale” dell’imperatore, che superata l’idea ellenistica del rex<br />
evergeta, si ascriveva ad una “filantropia”, che trovava le sue ragioni nel<br />
preteso rango sacerdotale cristiano e nel ma<strong>qui</strong>llage dell’antica figura<br />
pontificale.<br />
2) Sull’esercizio del ministero sacerdotale, per una risoluzione della vexata<br />
quaestio riguardante l’espletamento dei sacra<br />
L’indissolubile sinolo creato da questo Augusto, che avvincendo in<br />
un unicum lo Stato Romano e la Chiesa, concepiva un eccezionale<br />
“leviatano”, e, più segnatamente, “generava” un assoluto ed esclusivo<br />
“organismo” politico-religioso: la Respublica Christianorum; in<br />
quest’unico corpus la Chiesa e la Basileia apparivano quali emblemi<br />
“speculari”, quasi si trattasse di entrambe le “facce della medesima<br />
medaglia”. Orbene, a tramite di una quasi unanime sintonia d’interessi, ed<br />
a mezzo della loro “cosciente” collaborazione, le due “potenze”<br />
opponevano, almeno in linea teorica, “un’invincibile muraglia”, contro<br />
ogni pericolo, fossero essi avversari sia “esterni” sia “interni”, che<br />
minacciavano con le loro “male” opere la taxis del Regnum, ossia<br />
quell’ordine teocratico che Eusebio, in primis, additava quale riflesso del<br />
kosmos iperuraneo, o addirittura la stessa ortodossia.<br />
Una siffatta “cinta di difesa”, così abilmente cogitata, presentava ai<br />
nemici della fede ed alla vis “disgregatrice” dell’eresia “l’invincibile<br />
baluardo” dell’arbiter “augusteo”, “ardente”, almeno nel racconto<br />
eusebiano, di zelo per la religione cristiana.<br />
Costui, dunque, in prima persona s’oberava della cura d’appianare<br />
le quaestiones sorte tra le varie factiones ecclesiastiche con infinite<br />
epistole, scritte fors’anche direttamente dal suo pugno ai medesimi<br />
contendenti; l’Augusto, altresì, si riservava il “diritto” di convocare,<br />
all’uopo, sinodi e concili, ove lasciava la parola ai vescovi “moderando”<br />
dall’alto del suo piccolo trono d’oro i lavori, anche se sbrigava sovente tali<br />
incombenze, dirimendole, a causa dell’imperante “ragion di stato”, a<br />
riprova d’una consolidata ambiguitas, più con la scaltrezza e l’intuito del<br />
politico che con il “fervore” del neofita.<br />
Ciò nonostante, il perdurare d’un simile atteggiamento, con le ovvie<br />
implicazioni connesse all’imperscrutabilità della sua anima, portò ad una<br />
sorta di “simbiosi” fra i due “massimi” enti, ed, allora, l’imperatore venne<br />
decorato degli aulici tituli di “Protettore della Chiesa” e della “vera” fede.<br />
Pertanto è proprio in questo suo speciale “protettorato-tutorato”,<br />
che possono rinvenirsi gli etimi su cui verrà costruita, con un ardito “gioco<br />
d’incunaboli”, tutta l’impalcatura concettuale atta a giustificare il non certo<br />
ozioso ricorso, da parte dei politologi prima, e, degli insigni canonisti greci<br />
poi, alla detenzione della “gloria” del sacerdozio, tanto da innalzarlo allo<br />
status di re e ierofante «in uno».<br />
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