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Abitare la terra: questione ambientale

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e<strong>la</strong>zione che costituisce e raccoglie i diversi, <strong>la</strong><br />

sapienza e l'intelligenza dicono infine del senso<br />

stesso dell'essere. Come può darsi che proprio<br />

l'opera del<strong>la</strong> tecnica, l'opera che sve<strong>la</strong> e guarda<br />

l'inesplorato, possa poi coincidere con una<br />

caduta del senso? Il testo di Giobbe vive appunto<br />

di questa contraddizione e, nel suo seguito,<br />

precipita nell'immagine del<strong>la</strong> morte:<br />

un'immagine che prende al<strong>la</strong> go<strong>la</strong> e stringe<br />

«come il collo del<strong>la</strong> tunica» 6 . Questa, a ben<br />

vedere, non è che <strong>la</strong> p<strong>la</strong>stica rappresentazione<br />

dell'angoscia: si tratta appunto di quel<br />

sentimento fondamentale che anche oggi torna<br />

ad accompagnarsi, nei modi più scoperti,<br />

all'orgoglio dell'homo faber.<br />

1. L'angoscia degli elementi<br />

Perché parliamo propriamente di angoscia?<br />

Prima Kierkegaard e poi Heidegger ci hanno<br />

insegnato a distinguere <strong>la</strong> paura dall'angoscia. La<br />

distinzione è molto importante, anche se è vero<br />

che i due sentimenti sono spesso intrecciati e non<br />

sempre riconoscibili a prima vista. Il sentimento<br />

dell'angoscia appartiene comunque al<strong>la</strong><br />

costituzione più propriamente metafisica<br />

dell'uomo e per questo non va confuso con <strong>la</strong><br />

paura: <strong>la</strong> paura ci avverte pur sempre di un'ostilità<br />

determinata, si sente per qualcosa da cui<br />

forse ci si può difendere o da cui forse si può<br />

sfuggire; l'angoscia invece si leva ove si avverte<br />

<strong>la</strong> potenza dell'indeterminato e, più<br />

precisamente, di quell'indeterminato che ci<br />

insidia ma non si <strong>la</strong>scia affrontare, che infine si<br />

dà come <strong>la</strong> possibilità stessa del nostro nul<strong>la</strong>.<br />

L'angoscia dunque quale sentimento di una<br />

invincibile contingenza: sentimento dell'origine<br />

abissale e del<strong>la</strong> fine sempre incombente. E<br />

dunque anche sentimento di un possibile non<br />

senso. Ci sovviene da questo <strong>la</strong>to <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del<br />

Qohèlet, che non a caso si volge anche all'opera<br />

del<strong>la</strong> tecnica e al rapporto dell'uomo con <strong>la</strong><br />

natura: «Feci grandi <strong>la</strong>vori: mi costruii case e mi<br />

piantai vigne, mi feci giardini e parchi,<br />

piantandovi alberi fruttiferi di ogni specie: mi<br />

costruii cisterne piene d'acqua...». Ma subito<br />

dopo: «Mi volsi a considerare tutte le opere che<br />

le mie mani avevano fatto e <strong>la</strong> fatica che avevo<br />

durato a compierle, e mi convinsi che tutto è<br />

vanità e agire senza senso e che non c'è<br />

vantaggio sotto il sole» 7 .<br />

6 Gb 30, 18.23.<br />

7 Qo 2, 4-6.11.<br />

Di nuovo, perché parliamo di angoscia e di<br />

non senso, mentre pur pensiamo al<strong>la</strong> rassicurante<br />

modernità dell'homo faber? Facciamo qualche<br />

esempio. L'ingegneria genetica sembra ormai<br />

vicina alle stesse frontiere del<strong>la</strong> vita personale.<br />

Stanno infatti crescendo le concrete possibilità di<br />

intervenire sul DNA e dunque siamo quasi ad un<br />

approdo decisivo per rimuovere al<strong>la</strong> radice i mali<br />

e i condizionamenti negativi delle eredità<br />

cromosomiche. Ma per questa via si pensa già<br />

al<strong>la</strong> predeterminazione del sesso e persino al<strong>la</strong><br />

manipo<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> struttura biopsichica<br />

dell'uomo: una società programmata per uomini<br />

di diversa intelligenza e di diversa prestanza<br />

sociale, così come l'aveva immaginata Aldous<br />

Huxley in Brave New World (1932), non è più<br />

semplice sogno fantascientifico ma un traguardo<br />

che <strong>la</strong> scienza può ormai prospettarsi. Che ne<br />

sarà allora del senso dell'uomo quale<br />

insostituibile identità personale? Ma veniamo,<br />

più da vicino, ad un dato già corrente nel<strong>la</strong><br />

nostra storia, quello del<strong>la</strong> limitazione delle<br />

nascite. Il dibattito, come sappiamo, non si volge<br />

più al<strong>la</strong> <strong>questione</strong> di principio, ma ai modi del<strong>la</strong><br />

sua realizzazione. Chi, ad esempio, sostiene <strong>la</strong><br />

liceità etica dell'aborto ritiene di poterlo fare sul<strong>la</strong><br />

base di una precisa affermazione<br />

antropologica. E così c'è chi, nei termini<br />

formu<strong>la</strong>ti dal<strong>la</strong> McLaren, ritiene di poter<br />

riconoscere i caratteri propri dell'uomo solo nel<strong>la</strong><br />

cosiddetta stria embrionale e cioè solo dopo il<br />

15°-16° giorno dal<strong>la</strong> fecondazione: intervenire<br />

dunque al di qua di quel tempo non<br />

significherebbe intervenire sull'uomo. Analogamente<br />

si è fatto col riconoscere l'umano solo a<br />

partire dall'inizio del<strong>la</strong> vita cerebrale e quindi<br />

dall'ottava settimana di gestazione: i limiti del<strong>la</strong><br />

liceità sarebbero in questo caso ancora più<br />

<strong>la</strong>rghi. Non entriamo per il momento nel merito:<br />

limitiamoci solo a riconoscere l'incertezza sul<br />

significato stesso dell'uomo. Dove inizia e dove<br />

finisce <strong>la</strong> vita dell'uomo? Che cosa, in definitiva,<br />

dà veramente senso all'essere dell'uomo? La<br />

caduta o <strong>la</strong> riduzione del<strong>la</strong> <strong>questione</strong> sul senso<br />

coincide qui con <strong>la</strong> perdita di una misura essenziale:<br />

le violenze sul<strong>la</strong> vita nascente, ma<br />

anche quelle sul<strong>la</strong> vita che declina fanno così<br />

parte di una cultura di tipo nichilistico. E,<br />

nell'incertezza sui limiti del senso, può qui ben<br />

costituirsi l'angoscia dell'uomo che non sa riconoscersi:<br />

un'angoscia che ora nasce non tanto dal<br />

dato costitutivo del<strong>la</strong> finitezza, quanto dal potere<br />

stesso dell'uomo. Passiamo al rapporto dell'uomo<br />

con l'ambiente. Anche questa è storia di<br />

cronache ritornanti: l'immagine del<strong>la</strong> nave dei<br />

veleni che va senza meta e che pur sempre<br />

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