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Abitare la terra: questione ambientale

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iblica e 1'indistinzione ha una sua positività su<br />

cui dobbiamo riflettere. Il timore di Dio, oltre<br />

che abbandono di fede, oltre che osservanza del<br />

cuore, è comunque anche dedizione del<strong>la</strong><br />

mente, riconoscimento e custodia dell'ordine<br />

disposto all'origine.<br />

3. Il criterio dell'essere e <strong>la</strong> perversione<br />

dell'avere<br />

Si tratta dunque di coniugare il tema del<strong>la</strong><br />

tecnica come conoscenza con quello dell'ultimo<br />

riferimento sapienziale: l'opera che produce<br />

secondo il criterio dell'essere e che per questo,<br />

al di là del<strong>la</strong> cosa, si fa anche attenta ai nessi<br />

radicali, alle re<strong>la</strong>zioni costitutive, al<strong>la</strong><br />

reciprocità e al raccoglimento dei diversi sensi.<br />

Dicevo prima del<strong>la</strong> casa e del campo come<br />

del<strong>la</strong> via che vince l'ostilità degli elementi e<br />

che<strong>la</strong> vince istituendo un orientamento, una<br />

partecipazione, un'intimità con i diversi volti<br />

dell'ambiente. Proprio questo - dicevo - viene<br />

infine contraddetto dal nostro modo di sentire<br />

l'impresa tecnologica nel segno<br />

dell'appropriazione e dell'avere fine a se stesso.<br />

Occorre ora riprendere ed approfondire questo<br />

rilievo, notando che il suo supporto riposto sta<br />

in una disposizione conoscitiva, che è propria<br />

del<strong>la</strong> modernità. Non dimentichiamo che <strong>la</strong><br />

nostra età nasce fondandosi all'insegna del<strong>la</strong><br />

verità come chiarezza distinta: l'osservazione<br />

vale scopertamente per l'impianto del<strong>la</strong><br />

tradizione cartesiana, ma vale anche per i modi<br />

del<strong>la</strong> tradizione empiristica, che com'è noto si<br />

costruisce all'insegna di una gnoseologia di tipo<br />

atomistico. Che <strong>la</strong> verità debba avere un suo<br />

cespite nel<strong>la</strong> chiarezza delle distinzioni e,<br />

all'origine, nel<strong>la</strong> distinzione primaria di<br />

soggetto ed oggetto, è un assioma che certo<br />

s'impone per <strong>la</strong> sua elementare evidenza e che<br />

comunque riveste un valore fondamentale nel<br />

campo delle scienze positive. La scienza si<br />

volge infatti al<strong>la</strong> determinatezza definita<br />

dell'ente e, se vuole garantire <strong>la</strong> propria obiettività,<br />

deve appunto costituirsi con una<br />

scansione binaria, nell'ordine delle distinzioni e<br />

delle definizioni rigorose. Ma <strong>la</strong> logica binaria,<br />

tanto più quel<strong>la</strong> che contrappone il mondo dei<br />

soggetti a quello degli oggetti, non costituisce<br />

l'unica direzione possibile dell'itinerario<br />

conoscitivo: in ogni caso, non serve a porre <strong>la</strong><br />

<strong>questione</strong> del senso e, da so<strong>la</strong>, non basta<br />

all'orientamento del<strong>la</strong> stessa ricerca scientifica.<br />

Da so<strong>la</strong> deve inevitabilmente tradursi in una<br />

prospettiva dell'avere e di un avere che si dà in<br />

prevalenza come espropriazione o come<br />

appropriazione espropriante.<br />

Possiamo spiegare questo passaggio<br />

avvertendo che ogni distinzione implica un<br />

reciproco non essere dei distinti e che l'avere si<br />

riferisce appunto a ciò che non si è: quando<br />

diciamo di avere questo o quello,, ci riferiamo<br />

infatti a quanto non siamo, a quanto comunque<br />

rimane nel<strong>la</strong> sfera dell'oggettuale. La cosa è del<br />

tutto naturale e certo coerente con un universo<br />

costituito nel<strong>la</strong> diversità dei molteplici. E<br />

tuttavia avvertiamo che <strong>la</strong> dizione dell'avere<br />

risuona negativamente ove si faccia esclusiva<br />

d'una re<strong>la</strong>zione più radicale o d'un reciproco<br />

convenire nel<strong>la</strong> comunione dell'essere. Posso<br />

così dire, ad esempio, d'avere dei servi o d'avere<br />

una donna, ma con questo riconosco anche<br />

un'estraneità ed un'assenza d'amore: un<br />

rapporto d'amore, per restare all'esempio,<br />

dovrebbe anche comportare che io «sono <strong>la</strong><br />

donna che ho» e che <strong>la</strong> mia donna, a sua volta,<br />

porta con sé l'intimità del mio essere.<br />

L'avere dunque si fa alienante quando si dà<br />

per se stesso ed è tanto più alienante quanto più<br />

resta in sé, quanto più ignora l'identità che lo<br />

rinvia al<strong>la</strong> cosa avuta: questa può così darsi<br />

soltanto come mezzo, come oggetto da<br />

possedere, infine come oggetto da consumare e<br />

da espropriare. A ben vedere, ciò che qui è in<br />

gioco non è soltanto l'alienazione dell'altro: se<br />

fra me e <strong>la</strong> cosa esisteva un rapporto di<br />

interessenza, di reciprocità ontologica,<br />

l'espropriazione del<strong>la</strong> cosa corrisponde anche<br />

al<strong>la</strong> mia espropriazione. Accade così, e più in<br />

generale, anche per il nostro rapporto con <strong>la</strong><br />

natura: un rapporto puramente espropriativo<br />

del<strong>la</strong> <strong>terra</strong> e dell'acqua, dell'aria e del fuoco<br />

finisce col ritorcersi sul<strong>la</strong> stessa costituzione<br />

del<strong>la</strong> nostra intimità. Gli elementi del<strong>la</strong> vita<br />

tornano infine a prospettarsi come il volto<br />

angoscioso di un possibile nul<strong>la</strong>.<br />

Ciò che dunque ci viene richiesto è, al<strong>la</strong><br />

radice, una conversione di tipo intenzionale:<br />

l'etica del comportamento deve porsi in prima<br />

istanza come un'etica del<strong>la</strong> mente. Mi<br />

richiamavo prima al significato più completo<br />

del<strong>la</strong> tecnicità quale funzione di scoperta e di<br />

conoscenza, prima che di potere e di fruizione.<br />

Il nesso fra le due dimensioni si fa ora più<br />

chiaro, se infine ci si dispone nel ricomprensivo<br />

contesto di una logica dell'essere: logica che,<br />

per stare ancora al<strong>la</strong> suggestione di Giobbe, sa<br />

dischiudersi al riconoscimento dei «confini» e<br />

dunque al<strong>la</strong> «misura» che distingue, mentre<br />

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