sere adempiute se egli vuole essere qu<strong>al</strong>ificato a ricevere un autentico messaggio d<strong>al</strong> Divino —sia sul piano del profeta creatore di un’epoca, che su quello della semplice persona giustamentediretta sul sentiero del dovere quotidiano.“Quattro sono le condizioni princip<strong>al</strong>i:“(1) Vorrei essere per l’Eterno Bene quello che la mano destra è per l’uomo. La devozione assolutaossia la sottomissione del Sé <strong>al</strong> Divino. “Eccomi, manda me” dice Isaia; e quando Cristorivolse ai Suoi primi seguaci l’invito “Seguitemi”, dice la storia che essi abbandonarono tuttoe Lo seguirono.“(2) Autoconoscenza, e la susseguente ammissione dell’errore. La promessa contenuta nel s<strong>al</strong>moprecedentemente citato Io ti guiderò con il mio occhio è data <strong>al</strong>l’uomo che ha confessato lasua iniquità e ha così stabilito una giusta relazione con Dio. La prima risposta di Isaia <strong>al</strong>lachiamata divina fu quel lampo di autoconoscenza che apporta ad un uomo la convinzionedell’indegnità e del peccato; Io sono un uomo d<strong>al</strong>le labbra impure....“(3) “Rimanete... finché d<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>to siate rivestiti di potenza” (S. Luca XXIV, 49). Ma questa vitadi potere, un potere stimolato d<strong>al</strong>l’amore, d<strong>al</strong>la gioia e d<strong>al</strong>la pace, difficilmente può esserevissuta in modo continuo se in una comunità non sono spontaneamente prodigate la mutuaemulazione, il mutuo incoraggiamento e la mutua confessione dell’errore...“(4) L’ingresso in una simile esistenza ed in una simile comunità comporta un certo grado disofferenza, di sacrificio o di umiliazione. “E chi non porta la propria croce e non viene dietrodi me, non può essere mio discepolo”. (S. Luca XIV, 27). Forse non a caso già nel VecchioTestamento la promessa “Le tue orecchie udiranno una parola dietro a te che dice Questaè la strada, seguila”, è preceduta d<strong>al</strong>le parole Sebbene il Signore ti dia il panedell’avversità e l’acqua dell’afflizione.” 243 .Ci vuole coraggio per affrontare l’evento della morte e per formulare con precisionele proprie credenze su t<strong>al</strong>e soggetto.241 Le statistiche dicono che ogni anno muoiono circa cinquanta milioni di persone. Cinquantamilioni sono più della popolazione tot<strong>al</strong>e della Gran Bretagna, e costituiscono unvasto gruppo d’esseri umani che affrontano la grande avventura. Se t<strong>al</strong>i cifre sono esatte,la dimostrazione della Risurrezione di Cristo, e dell’immort<strong>al</strong>ità riveste un'importanzaassai maggiore di quanto possa supporre l’individuo. Siamo troppo inclini a studiarequesti problemi d<strong>al</strong> punto di vista scientifico e da quello puramente egoistico e individu<strong>al</strong>e.La morte è il solo avvenimento che possiamo predire con certezza assoluta, eppureè l’avvenimento a cui la maggior parte degli esseri umani si rifiuta categoricamente dipensare, fino a quando non debba affrontarlo person<strong>al</strong>mente. La gente affronta la mortein molti modi; <strong>al</strong>cuni vi associano un sentimento di autocommiserazione, e sono t<strong>al</strong>mentepreoccupati da ciò che debbono lasciare, da ciò che ha fine con loro e d<strong>al</strong>l’abbandonodi tutto ciò che hanno ammassato nel corso della loro esistenza, che il vero significatodell’inevitabile futuro che li attende sfugge tot<strong>al</strong>mente <strong>al</strong>la loro attenzione. Altril’affrontano con coraggio, comportandosi nel migliore dei modi visto che non vi è mezzoper sfuggirvi e la guardano in faccia con atteggiamento nobile, perché <strong>al</strong>tro non possonofare. Il loro orgoglio li aiuta ad affrontare la circostanza. Altri ancora rifiutano categoricamentedi considerarne la possibilità; essi ipnotizzano se stessi ponendo la lorocoscienza in uno stato d’assoluto rifiuto del pensiero della morte, così che quando essasopraggiunge, li sorprende <strong>al</strong>l’improvviso; essi sono senza aiuto e non possono fare <strong>al</strong>trose non morire. L’atteggiamento cristiano, di regola, si traduce più precisamente inun’accettazione della volontà di Dio, con la risoluzione di considerarla come il miglioredegli avvenimenti, anche se t<strong>al</strong>e non appaia d<strong>al</strong> punto di vista dell’ambiente e delle circostanze.Una fede solidamente ancorata in Dio e nei Suoi disegni relativi <strong>al</strong>l’individuoporta i credenti a varcare trionf<strong>al</strong>mente le soglie della morte, ma se qu<strong>al</strong>cuno dicesse chequesta non è <strong>al</strong>tro che una forma diversa del fat<strong>al</strong>ismo orient<strong>al</strong>e ed un fermo credo in undestino in<strong>al</strong>terabile, essi lo negherebbero decisamente. Costoro si nascondono dietro ilnome di Dio.243 The God Who Speaks, di B.H. Streeter, pag. 175-176.128
242 La morte può, tuttavia, essere assai di più di tutto questo e può essere accolta in mododifferente. Le si può assegnare un posto preciso nel nostro pensiero e nella nostra vita,e possiamo prepararci ad essa come ad una cosa inevitabile, ma semplicemente Portatricedi Trasformazione. In t<strong>al</strong> modo facciamo del processo della morte parte integrantedel piano della nostra vita. Noi possiamo vivere con la coscienza dell’immort<strong>al</strong>ità eciò aggiungerà colore e bellezza <strong>al</strong>la nostra vita; possiamo <strong>al</strong>imentare la coscienza delnostro futuro trapasso e vivere nell’attesa del suo prodigio. La morte così prospettata econsiderata come il preludio di una nuova esperienza vivente assume un significato diverso.Essa diventa un’esperienza mistica, una forma d’iniziazione, che troverà il suopunto culminante nella crocifissione. Tutte le precedenti rinunce minori, tutte le mortianteriori non sono che il preludio di questo stupendo episodio del morire. La morte ciporta la liberazione — forse temporanea sebbene <strong>al</strong>la fine permanente — d<strong>al</strong>la naturadel corpo, d<strong>al</strong>l’esistenza sul piano fisico e d<strong>al</strong>la sua esperienza visibile. Essa ci liberad<strong>al</strong>la limitazione; e sia che si creda (come milioni di persone) che la morte non è che uninterludio in una vita d’esperienza costantemente acquisita, oppure il termine di ogni e-sperienza di t<strong>al</strong> genere (come credono <strong>al</strong>trettanti milioni di persone) non si può negareche essa segni una precisa transizione da uno stato di coscienza ad un <strong>al</strong>tro. Se si crede<strong>al</strong>l’immort<strong>al</strong>ità e <strong>al</strong>l’anima questa transizione può corrispondere ad un’intensificazionedi coscienza; mentre se predomina il punto di vista materi<strong>al</strong>istico, essa può segnare lafine dell’esistenza cosciente. L’interrogativo cruci<strong>al</strong>e perciò è il seguente: è immort<strong>al</strong>eciò che noi chiamiamo anima? Qu<strong>al</strong>'è il senso dell’immort<strong>al</strong>ità?L’imperativo del giorno d’oggi è ristabilire un tipo di fede nel mondo soggettivo interioree nella nostra relazione con esso. <strong>Da</strong> questo dipende il successo o il f<strong>al</strong>limentodell’opera e del messaggio di Cristo. Viviamo in un’epoca in cui ogni cosa viene rimessain discussione, soprattutto il fatto dell’anima e della sua immort<strong>al</strong>ità. Questa è una fasenecessaria e apprezzabile, a condizione che si continui a cercare le risposte a questiinterrogativi.243 Molti considerano queste “difficoltà mor<strong>al</strong>i” come indizi promettenti di un emergereda una condizione statica in tutti i settori del pensiero umano, che ha caratterizzato laprima parte del secolo scorso, e ritengono che attu<strong>al</strong>mente ci si trovi sul limitare di unanuova era di v<strong>al</strong>ori spiritu<strong>al</strong>i più vera. Ma le nuove strutture della fede e dei costumidebbono poggiare le fondamenta in profondità su quanto il passato ha di meglio da dare.Gli ide<strong>al</strong>i enunciati da Cristo rimangono tuttora i più elevati dati finora in tutta la continuitàdella rivelazione, ed Egli stesso ci ha preparati in vista dell’emergere di quelle veritàche segneranno il tempo della fine e della vittoria sull’ultimo nemico, che ha nomeMorte.Questo interrogativo della fede e questa lotta con una speranza inerente debbono continuarefino a quando non si sia ottenuta la conferma, il credo non sia diventato conoscenzae la fede certezza. L’uomo sa incontestabilmente che vi è una meta più grandedelle sue mire meschine e che esiste una vita che abbraccia la sua prospettiva più estesa,che lo porrà in grado di raggiungere infine il suo ide<strong>al</strong>e, di cui ha ancora sensazioneconfusa. Uno studio della Risurrezione può fornire una certezza maggiore, sempre chesi tenga presente la lunga continuità di rivelazione concessa da Dio, e che si ammettache per ora è dato sapere ancor poco sul fatto della morte e della seguente risurrezionedei figli di Dio, sebbene dietro a questo fatto vi sia una causa fondament<strong>al</strong>e.I Tibetani parlano del processo della morte come dell’“entrare nella chiara luce fredda”244 . Probabilmente il miglior concetto che ci si possa fare della morte è considerarlacome un’esperienza che ci libera d<strong>al</strong>l’illusione della forma; ciò ci permette di comprenderechiaramente che quando parliamo della morte ci riferiamo a un processo relativo<strong>al</strong>la natura materi<strong>al</strong>e, il corpo, con le sue facoltà psichiche ed i suoi processi ment<strong>al</strong>i. Il244 The Tibetan Book of the Death di W.Y. EvansWentz, pag. 29129
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