“Questo numero (dei dodici discepoli) è simboleggiato nel Vecchio Testamento da molte cose:dai dodici figli di Giacobbe, dai dodici Principi dei Figli d’Israele; d<strong>al</strong>le dodici fontane diHelim; dai dodici pani; d<strong>al</strong>le dodici spie inviate da Mosè; d<strong>al</strong>le dodici gemme del pettor<strong>al</strong>e diAronne; d<strong>al</strong>le dodici pietre con cui era costruito l’<strong>al</strong>tare; dai dodici massi tolti d<strong>al</strong> Giordano; daidodici tori che portavano il mare di rame. E nel Nuovo Testamento, d<strong>al</strong>le dodici stelle della coronadella sposa, d<strong>al</strong>le dodici fondazioni di Gerus<strong>al</strong>emme viste da Giovanni, con le dodici porte”90 .76 Questo continuo ricorrere del numero dodici trae probabilmente la sua origine daidodici segni dello zodiaco, quell’anello immaginario che cinge i cieli, su cui il solesembra passare nel corso dell’anno, e durante il suo ciclo maggiore di circa 25.000 anni.Giunto <strong>al</strong> dodicesimo anno d’età, dopo aver completato il suo lavoro preparatorio,Cristo ebbe di nuovo un’esperienza intuitiva, s<strong>al</strong>endo da Nazareth (luogo della consacrazione<strong>al</strong> Tempio, ove quell’intuizione gli recò una nuova comprensione della Sua o-pera. Non esiste indizio <strong>al</strong>cuno che ci permetta di pensare che Egli conoscesse in checonsisteva precisamente quella missione; Egli non fornì nessuna spiegazione a Sua Madre.Si accinse semplicemente a compiere il Suo dovere più immediato, cioè ad ammaestrarequelli che si trovavano nel Tempio, lasciandoli attoniti di fronte <strong>al</strong>la Sua conoscenzae <strong>al</strong>le Sue risposte.Sua Madre, stupita e angosciata, volle richiamare la Sua attenzione su di Lei e sulpadre, ma non ricevette <strong>al</strong>tro che quella c<strong>al</strong>ma risposta, pronunciata con convinzione,che v<strong>al</strong>se a modificare tutta la Sua vita:“Non sapete che io devo occuparmi degli affari del Padre mio?” 91 .Via via che la Sua coscienza si sviluppava, la Sua concezione di ciò che riguardava ilPadre diveniva molto più ampia e più estesa nel Suo amore univers<strong>al</strong>e, di quantol’opinione della Chiesa sembra voler ammettere. La vastità della Sua missione <strong>al</strong>beggiògradatamente nella Sua giovane mente ed Egli cominciò, come tutti i Figli di Dio re<strong>al</strong>menteiniziati, ad agire come inviato di Dio, nel luogo ove si trovava, non appena ebbescorto la visione. Avendo Egli in t<strong>al</strong> modo mostrato di aver compreso appieno la Suaopera futura leggiamo che “Partì dunque con loro (i genitori) e tornò a Nazareth (il luogodella rinnovata consacrazione) e stava loro sottomesso.... Intanto Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” 92 .77 Nel Vangelo troviamo frequentemente la parola “giù”. Cristo andò con Sua madre“giù in Egitto”, “scese a Nazareth”; e quando si accinge a compiere il Suo dovere fra gliuomini scende sempre d<strong>al</strong>la cima della montagna o da un luogo di solitudine; dopo lasegreta esperienza in Egitto (poiché non troviamo nella Bibbia <strong>al</strong>cun riferimento <strong>al</strong>riguardo) e dopo la rivelazione nel Tempio e l’accettazione dell’opera da svolgere,Cristo ritorna <strong>al</strong> luogo del dovere. Dopo l’iniziazione della nascita, e s<strong>al</strong>vo la parentesidel Tempio, per un periodo di trent'anni Egli si comportò come un uomo ordinario,prendendo parte <strong>al</strong>la vita quotidiana dei Suoi genitori e lavorando come f<strong>al</strong>egname nellabottega di Suo padre. Questa vita familiare costituì per Lui una prova, cui si sottomise dibuon grado, e di cui non si deve sottov<strong>al</strong>utare l’importanza. Sarebbe irriverente dire chese Egli avesse f<strong>al</strong>lito in questo Suo dovere immediato, anche il resto della Sua opera sarebbestato destinato <strong>al</strong>l’insuccesso? Che se Egli non fosse riuscito a dimostrare la Suadivinità nella cerchia della famiglia e nella piccola città ove il destino l’aveva posto, nonsarebbe mai riuscito a svolgere la Sua opera di S<strong>al</strong>vatore mondi<strong>al</strong>e? Egli venne per rivelarea noi la nostra umanità, qu<strong>al</strong>e sarà <strong>al</strong>lorché avremo terminato il viaggio a <strong>Betlemme</strong>.È proprio in questo che risiede l’unicità della Sua missione.Cristo visse quietamente nella Sua casa con i Suoi genitori, vivendo l’esperienza e-stremamente difficile della vita domestica, con la sua monotonia, con le sue consuetudi-90 Vescovo Rabanus Manrus, A. D. 857.91 S. Luca, II, 49.92 S. Luca, II, 51, 52.46
ni invariabili, con la sottomissione dovuta <strong>al</strong>le esigenze e <strong>al</strong> volere del gruppo, con lasua lezione di sacrificio, di comprensione e di servizio. Questa è la prima lezione, cheogni discepolo deve imparare. Fino a quando non l’ha appresa non potrà fare ulterioriprogressi. Fino a quando la divinità non viene espressa in casa, e fra coloro che ci conosconointimamente, fra i nostri amici usu<strong>al</strong>i, non ci si può aspettare che venga espressa<strong>al</strong>trove. Tutti noi dobbiamo vivere come figli di Dio nell’ambiente — monotono, sci<strong>al</strong>boe t<strong>al</strong>volta sordido — in cui il destino ci ha collocati; null’<strong>al</strong>tro è possibile fino aquando si è in questo stadio. L’ambiente in cui ci troviamo è il punto di partenza delviaggio, e non il luogo da cui evadere.78 Se non riusciamo a comportarci bene, come discepoli, laddove è avvenuta la scopertadi noi stessi, non ci sarà offerta <strong>al</strong>cuna <strong>al</strong>tra opportunità, fino a quando non ci saremoriusciti. Ivi sta la nostra prova e il campo d’azione del nostro servizio. Molti aspirantiseri e sinceri sono persuasi che sarebbe loro possibile compiere di più ed influenzaremeglio il loro ambiente e manifestare la divinità, se avessero una casa diversa e se fosserocircondati da persone differenti. Credono che se fossero sposati diversamente, seavessero maggior denaro e maggiori comodità, se potessero suscitare maggior interessenei loro amici, e se godessero di una s<strong>al</strong>ute migliore non esisterebbe limite a ciò che potrebberofare. Una prova è una cosa che cimenta la nostra forza per vedere in che cosaessa consista re<strong>al</strong>mente; essa evoca il massimo che è in noi, e ci rivela i nostri punti debolie le manchevolezze. Oggi il mondo ha bisogno di discepoli su cui contare, che sianostati temprati d<strong>al</strong>le avversità affinché non crollino di fronte <strong>al</strong>le difficoltà e ai periodineri della vita. Ci toccano, se solo riuscissimo a re<strong>al</strong>izzarlo, esattamente quelle circostanzee quell’ambiente più idonei a farci imparare la lezione dell’obbedienza a ciò chedi più elevato è in noi. Abbiamo l’esatto tipo di corpo e di condizioni fisiche attraversocui la divinità che è in noi può esprimersi. Abbiamo nel mondo i contatti e il genere dilavoro richiesti per permetterci di compiere il prossimo passo in avanti sul sentiero deldiscepolato, il prossimo passo verso Dio. Fino a quando gli aspiranti non comprenderannoquesto fatto essenzi<strong>al</strong>e e non si disporranno lietamente a una vita di servizio e diamorosa donazione nell’ambito delle loro famiglie, non sarà loro possibile compiere <strong>al</strong>cunulteriore progresso. Fino a quando il sentiero della vita non sarà c<strong>al</strong>cato gioiosamente,silenziosamente e senza autocommiserazione nell’ambito domestico, non si presenterà<strong>al</strong>l’aspirante nessun’<strong>al</strong>tra opportunità, né gli verranno impartite <strong>al</strong>tre lezioni.Molti aspiranti ben intenzionati debbono inoltre comprendere di essere essi stessi i soliresponsabili delle difficoltà che incontrano. Sconcertati d<strong>al</strong>l’antagonismo che sembranosuscitare in coloro che li circondano, essi si lamentano di non incontrare nessuna corresponsionedi simpatia per i loro sforzi tesi a condurre una vita spiritu<strong>al</strong>e, a studiare, <strong>al</strong>eggere e a riflettere. Gener<strong>al</strong>mente il motivo di ciò deve ricercarsi nel loro egoismo spiritu<strong>al</strong>e.Parlano troppo di se stessi e delle loro aspirazioni.79 Poiché non ottemperano <strong>al</strong>le loro responsabilità primarie, non trovano nessuna reazionecomprensiva <strong>al</strong>lorché esigono tempo per meditare. Vogliono si sappia che stannomeditando. La casa deve essere silenziosa; esigono di non essere disturbati; nessuno deveirrompere bruscamente nella loro stanza. Se l’aspirante fissasse nella sua mente duecose non si verificherebbe mai nessuna di queste difficoltà: primo, che la meditazione èun processo da svolgere segretamente, silenziosamente e regolarmente nel tempio segretodella propria mente. Secondo, che si potrebbe fare molto se non si parlasse tanto diciò che si sta facendo. Dobbiamo procedere silenziosamente con Dio, e mantenerci, comeperson<strong>al</strong>ità, sullo sfondo; dobbiamo organizzare la nostra esistenza in modo da potervivere come anime, ossia consacrando il tempo dovuto per coltivare le nostre anime, maconservando <strong>al</strong> tempo stesso il senso delle proporzioni, mantenendo l’affetto delle personeche ci circondano, e adempiendo perfettamente i nostri obblighi e le nostre responsabilità.L’autocommiserazione e l’eccesso di parole sono gli scogli che fanno naufragarepiù di un aspirante.47
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