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Algebre di Lie semisemplici, sistemi di radici e loro classificazione

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4.2. SISTEMI DI RADICI 61<br />

un numero fnito <strong>di</strong> elementi.<br />

Il gruppo <strong>di</strong> Weyl è costituito da auotomorfismi <strong>di</strong> E che conservano il prodotto scalare, in quanto<br />

ogni elemento è composizione <strong>di</strong> un numero finito <strong>di</strong> riflessioni le quali, come visto, conservano il<br />

prodotto scalare. Poichè gli automorfismi <strong>di</strong> E che conservano il prodotto scalare sono un sottogruppo<br />

<strong>di</strong> GL(E), che denotiamo col simbolo O(E), si ha W ⊂ O(E).<br />

Lemma 4.2.1. Sia E uno spazio euclideo e Φ un suo sottoinsieme finito che lo genera.<br />

Supponiamo che le tutte le riflessioni σα, al variare <strong>di</strong> α ∈ Φ, man<strong>di</strong>no Φ in Φ. Se σ è un automorfismo<br />

<strong>di</strong> E che manda Φ in Φ, fissa i punti <strong>di</strong> un iperpiano P ⊂ E e manda un vettore non nullo α ∈ Φ nel<br />

suo opposto allora σ = σα e P = Pα. Ovviamente α non appartiene a P altrimenti avremmo α = 0.<br />

Dimostrazione. Fissato il vettore non nullo α dell’enunciato, consideriamo l’automorfismo τ = σ ◦ σα.<br />

L’inversa <strong>di</strong> σα è essa stessa per cui τ = σ ◦ σα = σ ◦ σ −1<br />

α . Allora τ(Φ) = σ(σα(Φ)) = σ(Φ) = Φ<br />

ed inoltre τ(α) = σ(σα(α) = σ(−α) = α. Ne consegue che τ agisce come l’identità nel sottospazio<br />

Rα = A ⊂ E generato da α. Inoltre, se v, w sono due vettori <strong>di</strong> E equivalenti rispetto alla relazione <strong>di</strong><br />

equivalenza modulo A, ossia v − w = aα con a ∈ R, abbiamo τ(v − w) = τ(v) − τ(w) = −aα. Allora<br />

consideriamo :<br />

¯τ : E<br />

Rα<br />

→ E<br />

Rα<br />

[v] ↦→ [τ(v)]<br />

Prima <strong>di</strong> tutto mostriamo che tale applicazione è ben definita :<br />

v ∽ w ⇒ v − w = aα ⇒ [τ(v)] − [τ(w)] = [τ(v) − τ(w)] = [τ(v − w)] = [−aα] = 0 (4.18)<br />

ed inoltre è l’identità. Infatti abbiamo E = P ⊕ A e dunque il vettore v ∈ E lo possiamo scrivere come<br />

v = v ′ + aα con v ′ ∈ P e a numero reale. Allora v e τ(v) sono equivalenti, ossia v − σ(v) + 2 <br />

α =<br />

= v ′ + aα − v ′ + aα + 2 <br />

α appartiene ad A.<br />

L’applicazione ¯τ è lineare (su E<br />

Rα consideriamo la struttura <strong>di</strong> spazio vettoriale quoziente) ed avente<br />

1 come unico autovalore. Ne consegue che anche τ ha 1 come unico autovalore. Infatti se λ è un<br />

autovalore <strong>di</strong> τ allora esiste un vettore non nullo v ∈ E ( lo consideriamo non appartenente a Rα)<br />

perchè in quel caso si ha banalmente λ = 1) tale che τ(v) = λv. Ne consegue :<br />

cioè λ è anche un autovalore <strong>di</strong> ¯τ e quin<strong>di</strong> λ = 1.<br />

¯τ([v]) = [τ(v)] = [λv] = λ[v] (4.19)<br />

Da questo deduciamo che il polinomio caratteristico <strong>di</strong> τ è (T −1) l , con l <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> E. Il polinomio<br />

minimo pτ (T ) <strong>di</strong> τ <strong>di</strong>vide il polinomio caratteristico <strong>di</strong> τ, ossia (T − 1) l .<br />

Essendo Φ finito, non tutti i vettori β, τ(β), ..., τ k (β) possono essere <strong>di</strong>stinti se β ∈ Φ e k ≥ card(Φ), in

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