Una famiglia come un'altra - Spazio MeF
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Irene Bernardini <strong>Una</strong> <strong>famiglia</strong> <strong>come</strong> un’altra<br />
scrivi@spaziomef.it<br />
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cuore. E' ancora piuttosto raro che un uomo si assuma fino in fondo le proprie<br />
responsabilità affettive nella crisi coniugale. molti di loro trascinano per mesi<br />
o anni storie clandestine malcelate e umilianti per chi prima o poi è costretta a<br />
scoprirle, e giunti alla resa dei conti si comportano <strong>come</strong> vittime di passioni<br />
insopprimibili e di aut aut inesorabili . Difficilmente un uomo è in grado di<br />
sostenere, spiegare o argomentare le ragioni del proprio disamoramento,<br />
della fine che dentro di sé ha decretato all'unione coniugale. Forse perché lui<br />
stesso è così che si rappresenta gli eventi, finisce per avvalorare l'idea che<br />
tutto andava bene fino a quando non è arrivata "lei". Del resto è vero che<br />
molti uomini si risolvono alla separazione solo quando l'ultimatum della nuova<br />
compagna o quello della moglie, talora curiosamente in sintonia, si fa<br />
stringente. Questa, almeno apparente, passività maschile, il frequente<br />
atteggiarsi ad "anima bella”lacerata tra gli affetti e le responsabilità familiari,<br />
da una parte, e la passione della vita, dall’altra, fomenta la rivalità femminile<br />
e alimenta la demonizzazione reciproca tra le donne in questione. la moglie<br />
tende a ingigantire la rappresentazione malefica dell'altra, sentita <strong>come</strong> unica<br />
e vera artefice del crollo della propria <strong>famiglia</strong> ; la sua rivale rischia di<br />
attribuire ai ricatti di lei tutte le titubanze del proprio compagno.<br />
Per quanto il tempo e l'elaborazione personale possano portare le<br />
persone a una rappresentazione più equilibrata e realistica del ruolo avuto<br />
dall'"altra” in occasione della separazione, per molte donne è davvero penoso<br />
farsi una ragione del fatto che proprio con "quella là” lui ricostruisca una<br />
<strong>famiglia</strong> e metta al mondo altri figli, e almeno all'inizio è quasi una tortura<br />
accettare o almeno tollerare che i propri bambini la frequentino o addirittura le<br />
si affezionino.<br />
Ricordo una coppia di genitori, Angela e Marcello, poco più che<br />
trentenni, che si erano rivolti a me per una consulenza. Erano separati da<br />
poco. i loro due bambini, Giorgia di quattro anni e Stefano di sette, erano<br />
affidati alla mamma, ma il papà se ne prendeva cura quasi quanto lei. Il loro<br />
lavoro -erano entrambi tecnici di laboratorio in ospedale - esigeva e insieme<br />
consentiva, per via dei turni, che fosse ora l'uno ora l'altra a portarli a scuola e<br />
a riprenderli e che si alternassero in quasi tutte le altre occasioni di cura e