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una fondamentale importanza per la materia de qua, l’orientamento giurisprudenziale e<br />
dottrinario che ammette l’utilizzabilità di prove illegittime in favorem rei, salvo si tratti<br />
di violazioni di divieti stabiliti a tutela dell’attendibilità dell’accertamento 283 .<br />
L’aspetto sul quale si è maggiormente dibattuto concerne, senza dubbio,<br />
l’interpretazione dell’espressione “divieti stabiliti dalla legge” contenuta nel primo<br />
comma dell’art. 191 c.p.p.<br />
Una parte della dottrina, rimasta fedele all’interpretazione tradizionale ha<br />
ritenuto che la disposizione possa riferirsi esclusivamente “ad ogni ipotesi di<br />
inosservanza di un divieto stabilito dalla legge processuale” anche alla luce della stessa<br />
rubrica dell’articolo che utilizza la terminologia “prove illegittimamente acquisite” 284 .<br />
Altri autori hanno ritenuto, all’opposto, di poter dedurre dall’ampiezza della dizione<br />
letterale della norma una volontà legislativa tesa a non limitare la fonte del divieto alla<br />
legge processuale, bensì ad estenderla sino a ricomprendere le violazioni della legge<br />
penale sostanziale 285 . A tale conclusione si dovrebbe giungere in ragione della genericità<br />
del termine “legge”: la pluralità di interpretazioni cui può dar luogo, rende non decisiva<br />
anche la stessa portata della rubrica dell’art. 191 c.p.p.<br />
Questa ricostruzione esegetica, ancorché elaborata al fine di perseguire il<br />
lodevole obiettivo di ottenere una certa equità e coerenza sistematica interna<br />
all’ordinamento, poggia su una fragile premessa. Essa si fonda sostanzialmente<br />
sull’ampiezza del termine legge utilizzato dal legislatore, ma si espone all’evidente<br />
critica per cui, stando così le cose, il divieto andrebbe a ricomprendere tutti i tipi di<br />
legge, dalla cui violazione deriverebbero limiti all’utilizzo della prova. Difatti, la stessa<br />
genericità del termine, in mancanza di uno specifico riferimento alla sola legge penale<br />
sostanziale, comporterebbe anche l’applicazione dei divieti stabiliti da leggi civili,<br />
amministrative o quant’altre previste come tali nel nostro ordinamento 286 .<br />
A ben vedere, non sembrano sussistere argomentazioni tali da far ritenere<br />
superata l’impostazione tradizionale, ancorché sviluppatasi sotto la vigenza del codice<br />
Rocco. Se ne deve dedurre che per definire la portata del divieto di cui all’art. 191<br />
283 Cass, 20. 12. 1996, Usai, in Giust. pen., 1998, III, 409; in dottrina F. CORDERO, Tre studi sulle prove<br />
penali, cit., 143 e 171; N. GALANTINI, L’inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, 1992,<br />
703.<br />
284 G. P. VOENA, “atti”, in Profili del nuovo codice di procedura penale, a cura di G. CONSO – V. GREVI, ,<br />
Padova, 1990, 156.<br />
285 M. NOBILI, sub. Art. 191c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, a cura di M.<br />
CHIAVARIO, Vol. II, Torino, 1989, 413.<br />
286 Per ulteriori rilievi critici della tesi prospettata da Nobili si veda F. BARGI, Procedimento probatorio e<br />
giusto processo, Napoli, 1990, 257.<br />
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