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Agli inizi del ventesimo secolo, in quest’acceso dibattito dottrinale s’inseriscono<br />

nuovi contributi da parte di una letteratura giuridica che non scioglie la continuità con la<br />

nozione ampia di agente provocatore tratteggiata alla fine dell’Ottocento, arricchendola,<br />

tuttavia, di ulteriori importanti elementi quali l’ipotesi della compartecipazione<br />

“materiale” e “neutrale” al reato. La prima si riscontra quando l’agente presta un<br />

contributo – concretamente riscontrabile nella realtà fattuale e riconducibile alla<br />

condotta del soggetto stesso – in grado di inserirsi fra i fattori causali dai quali<br />

scaturisce il reato 28 . Con la compartecipazione “neutrale” si delinea, invece, un profilo<br />

insolito per cui la provocazione si dovrebbe ravvisare anche nelle ipotesi in cui la<br />

condotta realizzata si sia rivelata ininfluente nel compimento dell’illecito, sotto il<br />

profilo della determinazione della volontà dell’autore principale: l’agente si sarebbe<br />

solo inserito in una seria continuata di reati, già commessi e d’imminente reiterazione 29 .<br />

Vista l’ampiezza dei contributi causali riconducibili, secondo queste teorie,<br />

nell’ambito della provocazione, si è ricercato all’interno delle varie definizioni un<br />

elemento costante utile come criterio di specificazione della figura dell’agente<br />

provocatore. Un’attenta dottrina ha così identificato l’elemento di sintesi nel fine in<br />

vista del quale l’agente attua la propria condotta che andrebbe fatto coincidere con<br />

l’oggettiva volontà di ottenere la punizione del soggetto indotto a delinquere, fermo<br />

restando che la pulsione che intimamente animi il provocatore – sia essa nobile o<br />

spregevole – non acquisisce rilevanza alcuna per l’ordinamento giuridico 30 .<br />

L’inquadramento dogmatico continua quindi a essere quello della<br />

compartecipazione morale nel reato, cosicché chi abbia determinato altri a violare la<br />

legge deve essere ritenuto responsabile in qualità d’istigatore, a nulla giovando un<br />

intento moralmente encomiabile qualora la condotta fosse stata, di fatto, fondamentale<br />

per la realizzazione dell’evento delittuoso 31 . Per di più, sarebbe indifferente che il<br />

provocatore fosse un privato cittadino ovvero un agente di polizia, poiché quest’ultimo<br />

non potrebbe celarsi dietro l’ordine dell’autorità: la legge penale costituisce invero un<br />

valido limite anche per l’obbedienza gerarchica. L’agente di polizia che si trovi a<br />

eseguire un ordine delittuoso avrebbe non solo il diritto, ma anche il dovere, di rifiutarsi<br />

di adempiere, qualora l’osservanza delle disposizioni ricevute integrasse gli estremi di<br />

28 Cfr. E. FERRI, Principi di diritto criminale, Torino, 1928, 566.<br />

29 V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1920, II, 323.<br />

30 T. DELOGU, La responsabilità penale dell’agente provocatore, in Studi Sassaresi, Sassari, 1935, vol.<br />

XIII, 19.<br />

31 G. MAGGIORE, Principi di diritto penale, parte generale, Bologna, 1932, I, 309.<br />

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