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dell’indagato le modalità di istigazione degli agenti provocatori 352 . Il fatto che l’indagato<br />

fosse incline alla commissione dei crimini a lui ascritti è aspetto che non rileva ai fini<br />

del test.<br />

La variante oggettiva dell’induzione al reato mostra alcune similitudini con la<br />

concezione italiana, per cui l’induzione al reato è giuridicamente una forma di<br />

compartecipazione materiale o morale nel reato. Questa interpretazione alternativa si<br />

concentra sull’illiceità della condotta di agenti governativi, senza tenere in<br />

considerazione la sensibilità dell’indagato di fronte alla provocazione e alle pressioni<br />

subite. Secondo tale tesi il comportamento degli agenti infiltrati va contrastato sia nel<br />

caso in cui coinvolga delinquenti abituali, sia qualora riguardi soggetti riluttanti al<br />

crimine 353 . Va detto che i punti di contatto, ancorché si propenda per il test oggettivo,<br />

finiscono qua. Difatti, tale ricostruzione non mette in discussione l’immunità<br />

dell’agente provocatore o dell’informatore rispetto alla responsabilità penale, ma<br />

disciplina uno standard proprio delle forze dell’ordine superato il quale lo Stato perde la<br />

potestà punitiva nei confronti del provocato.<br />

A tal proposito, rimanendo nell’ambito degli ordinamenti di common law, è<br />

doveroso ricordare, pur brevemente, l’evoluzione della giurisprudenza britannica in<br />

ordine alla responsabilità del provocato. Inizialmente la House of Lords aveva escluso<br />

che le condotte istigatorie attuate da agenti di polizia potessero integrare una causa di<br />

non punibilità per il soggetto indotto alla commissione del reato, ovvero comportare<br />

l’inutilizzabilità del materiale probatorio in tal modo acquisito 354 . Successivamente si è,<br />

tuttavia, andata orientando nel senso di prendere in considerazione l’attività istigatrice<br />

degli appartenenti alla polizia giudiziaria al fine di valutare l’ammissibilità delle prove<br />

acquisite mediante tale attività. Si tratta di una valutazione rimessa al giudice in forza<br />

della sezione 78 del Police and Criminal Evidence Act del 1984. Tale norma attribuisce<br />

al giudice il potere discrezionale di non ammettere una prova se, considerate tutte le<br />

circostanze del caso concreto, incluse quelle in cui fu ottenuta la prova, ritiene che<br />

352 Il contrasto giurisprudenziale esiste in senso alla stessa Suprema Corte la quale ha sostenuto – con<br />

dichiarazioni incidentali in sentenze in cui veniva utilizzato il c.d. “test oggettivo” – come le regole<br />

costituzionali che noi definiremmo sul “giusto processo” (Due Process Cause) possono impedire l’azione<br />

penale qualora la condotta degli agenti infiltrati risulti così oltraggiosa da “scioccare le coscienze” ed<br />

offendere fondamentali principi di fairness . Può parlarsi di condotta oltraggiosa quando risulti provata<br />

“una partecipazione degli agenti al reato di livello intollerabile. Si veda in proposito la setta sentenza<br />

United States v. Russell, 411 U.S. 423,436 – 1973.<br />

353 J. ROSS, Quegli 007 infiltrati nel cuore del crimine, cit., 68.<br />

354 Sul tema e per la giurisprudenza ivi citata si veda A. P. SIMESTER – G. R. SULLIVAN, Criminal Law.<br />

Theory and Doctrine, Oxford, 2004, 604 ss.; A. ASHWORTH, Principles of Criminal Law, Oxford, 2006,<br />

237.<br />

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