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stesso rappresenti sia per l’Italia che per gli Stati Uniti un elemento di enorme criticità<br />

nel controllo delle operazioni sotto copertura.<br />

In Italia, come si è visto, il fatto di essere stati indotti al reato non costituisce, di<br />

regola, causa di esclusione della responsabilità penale, salvo che la condotta del<br />

provocatore violi la fairness processuale. A tale conclusione si è giunti principalmente<br />

attraverso la considerazione dell’induzione come una forma di compartecipazione nel<br />

reato, in forza della quale la responsabilità penale viene estesa all’agente provocatore 345 .<br />

Com’è stato efficacemente rilevato, le buone intenzioni del poliziotto italiano non lo<br />

salveranno da un’imputazione penale qualora dovesse superare i limiti, né potrà<br />

appellarsi alla preesistente volontà criminale dell’indagato 346 .<br />

Nell’ordinamento statunitense, al contrario, l’induzione al reato non comporta la<br />

punizione dell’agente, ma può condurre all’assoluzione dell’imputato. La provocazione<br />

non costituisce, quindi, una forma di responsabilità penale, ma una causa di<br />

giustificazione a favore di quei soggetti che possono provare di aver subito pressioni o<br />

tentazioni da parte degli agenti infiltrati. Questa nozione d’induzione al reato nasce dal<br />

timore che le operazioni sotto copertura possano aggirare la legge, costringendo e<br />

influenzando il volere di soggetti altrimenti riluttanti al crimine. In altri termini “se da<br />

un punto di vista formale tale nozione viene connessa alla preoccupazione per<br />

l’autodeterminazione dell’indagato, nella sostanza si può anche intravedere un timore<br />

più strumentale e pragmatico, ovvero quello di indirizzare le risorse investigative non<br />

verso indagati più inclini al crimine – ovvero coloro che sono responsabili dei veri<br />

problemi di criminalità – bensì verso bersagli più convenienti perché meno pericolosi,<br />

ovvero quelle persone che risultano più facili da infiltrare perché più esposti, non<br />

potendo contare sulla protezione di un’organizzazione criminosa. In tal modo la teoria<br />

statunitense dell’induzione al reato è diretta a reindirizzare l’obiettivo delle indagini dal<br />

meramente corruttibile al corrotto” 347 .<br />

Va, inoltre, sottolineato anche il diverso condizionamento che hanno le scelte<br />

operative dell’agente italiano circa la sua consapevolezza della tendenza a delinquere<br />

dell’indagato, testimoniato dal fatto che, negli Stati Uniti, un agente che conosce i<br />

trascorsi criminali del “sospetto” – ed è quindi consapevole di una certa inclinazione a<br />

delinquere – può procedere alla provocazione con maggiore tranquillità rispetto a chi<br />

345 Si veda, in tal senso, Cap.<br />

346 E. CALIFANO, L’agente provocatore, Milano, 1964, 10; C. DE MAGLIE, L’agente provocatore, cit., 392.<br />

347 J. ROSS, Quegli 007 infiltrati nel cuore del crimine, cit., 66.<br />

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