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CAP. IV<br />

Profili Processuali<br />

1. La posizione processuale dell’agente sotto copertura: testimone o coimputato?<br />

Una serie di questioni destinate ad avere un risalto sempre crescente nel dibattito<br />

relativo alle operazioni sotto copertura, poiché volte a condizionare l’efficacia stessa<br />

dello strumento di indagine, riguardano i limiti di utilizzabilità processuale dei risultati<br />

dell’attività “mascherata”, le modalità di documentazione della stessa e, in particolare,<br />

la posizione processuale che assume l’ufficiale di polizia giudiziaria che vi ha<br />

partecipato.<br />

I maggiori dubbi emersi in dottrina e giurisprudenza riguardano proprio la<br />

possibilità per l’agente undercover di poter rendere una vera e propria testimonianza sui<br />

fatti e le dichiarazioni apprese – ovvero, di essere sentito come persona in grado di<br />

“riferire circostante utili ai fini delle indagini” –, considerato come la sua compatibilità<br />

con la qualifica di testimone sia strettamente legata all’esistenza di un obbligo per il<br />

pubblico ministero di procedere all’automatica iscrizione nominale dell’ufficiale<br />

responsabile dell’operazione nel registro delle notizie di reato, pur in presenza della<br />

causa di giustificazione speciale.<br />

Nel tentativo di offrire una soluzione a tali dubbi ermeneutici, occorre partire da<br />

un primo dato – oramai consolidatosi presso i giudici di legittimità 189 – che considera la<br />

mera inosservanza da parte degli ufficiali incaricati della procedura prevista dalle<br />

singole normative speciali un’eventuale fonte di responsabilità disciplinare che non va<br />

ad incidere sulla loro capacità a rendere testimonianza, secondo le norme previste per<br />

questo tipo di prova. Come dire che i presupposti procedurali indicati nelle diverse<br />

norme speciali – quali il difetto di immediata comunicazione all’autorità giudiziaria –<br />

non influiscono direttamente sull’operatività della causa di giustificazione speciale. Tale<br />

interpretazione pare, comunque, discostarsi eccessivamente dalla volontà legislativa di<br />

assoggettare la scriminate in parola a rigorosi limiti, così da evitare pericoli<br />

all’incolumità degli agenti, nonché per la stessa genuinità delle indagini 190 .<br />

189 Cass., 30 agosto 1993, in Giur. it., 1994, II, 836; Cass. 1996; Cass. 10 aprile 1995, in Cass. pen., 1996,<br />

2388, con nota di G. AMATO, La definizione della posizione processuale dell’“agente provocatore”:<br />

riflessi sulla capacità a rendere testimonianza, ivi., 1996, 2392.<br />

190 Già si è detto come l’esperienza internazionale abbia dimostrato l’importanza dell’attività sotto<br />

copertura in quanto unico mezzo in grado di contrastare le organizzazioni criminali dall’interno, ma non<br />

si possono, tuttavia, dimenticare i dubbi che suscita, rispetto alla cultura giuridica italiana, la possibilità<br />

che siano addirittura gli agenti a stimolare la commissione di reati, avvalendosi anche di estranei a loro<br />

volta non punibili. Non si possono, infatti, nascondere i rischi di distorsione – finanche dall’abuso di<br />

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