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Tuttavia, la questione preliminarmente sollevata non pare decisiva per risolvere<br />

il problema della qualificazione processuale dell’agente undercover. Difatti, a ben<br />

vedere, il tema non deve essere affrontato nell’ottica patologica del mancato rispetto<br />

delle norme procedurali, piuttosto l’inquadramento della causa speciale di<br />

giustificazione all’interno delle ordinarie regole del codice di rito – ispirato al principio<br />

di obbligatorietà dell’azione penale – può configurare un’incompatibilità fisiologica<br />

dell’agente undercover a rendere testimonianza.<br />

Per ben comprendere la natura del dibattito, occorre premettere che qualora<br />

l’agente sotto copertura sia stato formalmente indagato per il reato di concorso<br />

nell’attività illecita, a norma degli artt. 61, 197 e 210 c.p.p. così come devono essere<br />

interpretati alla luce della giurisprudenza costituzionale 191 , non potrà essere sentito come<br />

testimone nel corso del procedimento, anche laddove la relativa posizione fosse stata<br />

definita con decreto di archiviazione 192 . Si rende allora necessario capire quale deve<br />

essere la posizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria che abbia agito nel rispetto della<br />

procedura indicata nella normativa eccezionale – come la scriminante speciale di cui<br />

all’art. 97 d.p.r. 309/1990 o quella disciplinata dall’art. 9 l. 146/2006 – ovvero,<br />

seguendo l’indicazione dei giudici di legittimità 193 , di quegli agenti che, pur non avendo<br />

potere – che tale attività comporta. Si pensi ad alcuni casi, rari ma non isolati, quali le vicende delle DIA<br />

di Genova, dove alcuni ufficiali sono stati condannati con sentenza definitiva proprio per fatti di<br />

corruzione, peculato, cessioni di partite di droga sequestrate nel corso di operazioni sotto copertura rese<br />

possibili da un impiego “disinvolto” dei collaboratori di giustizia, cfr. in tal senso F. BRIZZI, Agenti sotto<br />

copertura: licenza di delinquere?, in Narcomafie, ottobre 2006.<br />

191 C. cost. 108/1992, in Cass. pen., 1992, 1471; nonché in Giur. Cost., 1992, 984, con nota di G. GIOSTRA,<br />

Sull’incompatibilità a testimoniare anche dopo provvedimento di archiviazione, ivi, 1992, 988.<br />

192 Sull’argomento, nel silenzio della legge, si sono formati tre diversi orientamenti. Innanzitutto, vi è<br />

stato chi ha considerato i soggetti la cui posizione processuale sia stata definita con decreto di<br />

archiviazione come testimoni comuni interpretando l’art. 197 in base al canone ubi lex vuluit dixit, ubi<br />

noluit tacuit (fra le tante pronunce di merito, Trib. Fermo, 11 febbraio 2003, Arch. nuov. proc. pen., 2003,<br />

145). Un secondo orientamento, non tenendo in debito conto l’eventualità che il decreto di archiviazione<br />

possa essere in qualsiasi momento revocato, ha equiparato tali soggetti agli imputati giudicati con<br />

sentenza irrevocabile così da inserirli nel novero dei testimoni assistiti (Cass. 1. 2. 2005, in CED, n.<br />

231851, in dottrina C. DI MARTINO, L’incompatibilità a testimoniare: problemi vecchi e nuovi, in LP,<br />

2002, 1037). Un ulteriore orientamento, avvalorato dall’interpretazione conforme della stessa Corte<br />

costituzionale (C. cost 76/2003, in Guid. dir, 2003, 17, e C. cost. 250/2003, in Giur. Cost., 2003, 2097),<br />

equipara i soggetti de quibus agli imputati con procedimento pendente, ritenendo pertanto che essi siano<br />

incompatibili se indagati per concorso nel medesimo reato, e che debbano essere assistiti dal difensore se<br />

abbiano reso dichiarazioni concernente l’altrui responsabilità e siano indagati connessi teleologicamente o<br />

collegati (cfr. C. CONTI, Questioni controverse in tema di prova dichiarativa a quattro anni dalla legge n.<br />

63 del 200, in Cass. pen., 2005, 663). Per completezza occorre ricordare che grazie ad un recente<br />

intervento della Corte costituzionale il coimputato prosciolto con formula piena (“per non aver commesso<br />

il fatto”), chiamato a rendere dichiarazioni in un procedimento contro il coimputato o l’imputato connesso<br />

o collegato, non deve ora essere sentito come “testimone assistito” (art. 197-bis co. 3) e le sue<br />

dichiarazioni non devono necessariamente trovare un riscontro esterno (art. 197-bis c. 6), v. C. cost. n.<br />

381/2006, in Giur. Cost., 2006.<br />

193 Cass. 10 aprile 1995, cit, 2388.<br />

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