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c.p.p., ancora oggi, è necessario riferirsi esclusivamente alle norme ed ai limiti derivanti<br />

dalla legge processuale; così risultano quanto mai attuali le conclusioni cui pervenne<br />

un’autorevole dottrina in materia di perquisizione intrapresa fuori dai casi consentiti<br />

dalla legge: “in parole povere, il legislatore punisce l’autore di una perquisizione<br />

illecitamente eseguita, ma non ripudia le prove che ne rappresentano il compendio [...].<br />

Soluzione di compromesso, si dirà, ma non tanto illogica quanto potrebbe apparire; nel<br />

conflitto tra gli interessi dei privati e le esigenze del processo, il punto di equilibrio si<br />

può trovare in una reazione penalistica opportunamente dosata all’illecito del<br />

funzionario: bandire la prova è rimedio estremo, il cui costo vi è da temere che ecceda<br />

la misura dell’utile” 287 .<br />

5.2. Segue: Prove illecite e attività sottocopertura.<br />

Premessa questa breve ricostruzione del dibattito dottrinale intorno<br />

all’inutilizzabilità delle prove illecite, parrebbe intuitivo dedurre un’identica soluzione<br />

relativa all’utilizzabilità delle prove raccolte illecitamente dall’agente sotto copertura:<br />

come dire che l’agente provocatore dovrebbe sempre essere punito e, di converso, le<br />

prove raccolte dovrebbero invece essere escluse dal regime di inutilizzabilità di cui<br />

all’art. 191 c.p.p.<br />

Una deduzione così logica a prima vista va, tuttavia, posta seriamente in<br />

discussione. Si deve, infatti, considerare come “l’ipotesi consolidata secondo cui la<br />

provocazione ad un reato rappresenti un caso particolare di acquisizione illecita della<br />

prova del reato sembra essere frutto di un’illusione ottica” 288 .<br />

Esisterebbe, invece, una sensibile differenza fra le ipotesi prese in<br />

considerazione dalla dottrina tradizionale, quali il sequestro effettuato in esecuzione di<br />

una perquisizione illecita, e l’intervento illecito dell’agente undercover. Nell’ipotesi<br />

classica è possibile isolare due distinte fattispecie di reato: il primo avente ad oggetto il<br />

fatto per il quale è stata iscritta la notizia di reato, autonomamente e previamente<br />

consumato dall’indiziato, il secondo commesso in momento successivo<br />

dall’investigatore allo scopo di ottenere la prova del primo reato.<br />

Del tutto peculiare è la fattispecie in cui si inserisce l’attività sotto copertura. In<br />

tale ipotesi non è possibile identificare due distinte fattispecie delittuose: l’ufficiale di<br />

287 F. CORDERO, Prove illecite, cit., 158; per una simile ricostruzione sistematica cfr. C. DE MAGLIE,<br />

L’agente provocatore, cit., 409 e ss.<br />

288 C. DE MAGLIE, L’agente provocatore, cit., 417.<br />

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